JOHN FOGERTY/ “Wrote a Song for Everyone”: meglio recuperare gli originali dei CCR

- Paolo Vites

Delude il nuovo disco dell'ex cantante dei Creedence Clearwater Revival, John Fogerty, in cui reincide i suoi classici con alcuni ospiti. La recensione di PAOLO VITES

johnfogerty_R439 John Fogerty

Perché mai cominciare a recensire un disco dall’ultimo brano in scaletta? Forse perché la versione di Proud Mary eseguita da John Fogerty con Jennifer Hudson e Allen Toussaint and the Rebirth Brass Band che chiude i nuovo disco dell’ex Creedence Clearwater Revival  è l’unico pezzo che valga veramente la pena di ascoltare. Ehi, stiiamo parlando di John Fogerty, sì proprio il leader, fondatore, voce solista e autore di quasi tutti i brani dei Creedence Clearwater Revival, uno dei più grandi gruppi della storia del rock. 

Chi ha un po’ di dimestichezza con questa storia avrà già riconosciuto il nome di uno dei massimi autori della fine anni sessanta, un biennio d’oro per quella musica in generale, ma per lui soprattutto, capace come fu in quei due anni che vanno dal 1968 al 1970 di produrre una serie straordinaria di canzoni memorabili. Purissimo rock’n’roll al fulmicotone, brani che odoravano del bayou, la palude che circonda New Orleans e il delta del Mississippi, ballate spezza cuori che urlavano la desolazione di una generazione mandata a farsi ammazzare nel Vietnam. Insomma, capolavori. 

Che ritroviamo in parte in questo disco, “Wrote a Song for Everyone”, reincisi per l’occasione in una serie di duetti che dovrebbero, nell’intenzione di Fogerty, farci saltare sulle sedie. Invece ci fanno correre a recuperare gli originali.

Reincidere i propri classici è una operazione di mercato molto comune, quando un artista ha raggiunto una certa età e la sua vena compositiva si è praticamente esaurita. Lo hanno fatto in tantissimi. Operazioni discutibili, che a volte riescono, questa volta proprio no. Fogerty infatti si è affidato a ospiti che ben poco hanno che fare con la sua musica, tra reginette dei talent show e personaggi discutibili per acchiappare l’audience di massa. Il risultato è un disco patinato e innocuo dove manca la forza vitale che era alla base di quelle canzoni.

Ma Proud Mary si salva, per fortuna. C’è Jennifer Hudson, cantante black, viene anche lei dal mondo dei talent, almeno sa cantare davvero bene (è diventata più famosa però come attrice che come cantante vincendo anche un Oscar) ma la parte del leone la fa Allan Toussaint, uno dei giganti del New Orleans sound e l’arrangiamento di questo classico, reso famoso anche da Tina Turner, è davvero indovinato. Cajun e zydeco, fiati sgargianti e coro da messa gospel ci aprono davanti un panorama sonico inconfondibile. 

Non male è anche la ripresa di Bad Moon Rising insieme al gruppo folk Zac Band così anche se un po’ meno Long As I Can See the Light con i My Morning Jacket. La voce di Jim James, si sa, è una delle migliori delle ultime generazioni, ma infastidisce non poco l’arrangiamento ritmico incalzante e quasi dance che viene utilizzato. Piace anche Mystic, uno dei due brani inediti incisi per l’occasione: ballata classica delle sue, ha un bel solo di chitarra e un finale molto black affidata a voci nere trascinanti. 

Da qui in poi cominciano le note dolenti. Il pezzo che intitola il disco, un altro vecchio brano dei CCR, dimostra l’ansia di Fogerty di apparire piacione a tutti i costi, per accontentare il pubblico più vario. E’ un male? Forse per uno come lui che ha inciso il suo nome nel libro d’oro della storia del rock ormai da decenni, certe ansie andrebbero eliminate, non ne ha bisogno. L’ospite femminile, Miranda Lambert, è infatti una stellina di un talent in chiave country: non è niente di che, lascia il tempo che trova. Mentre l’assolo dell’ex Rage Against the Machine Tom Morello fa solo gara a voler stupire con la usuale cascata di note roboanti delle sue, ma non ci azzecca nulla con l’atmosfera del pezzo. Mettiamo insieme talent e rock alternativo, il risultato è questo.

Vogliamo parlare di Kid Rock ospite nell’immortale Born on the Bayou? Vorremmo non farlo: il suo canto sguaiato è sempre stata una delle cose più finte di certo rock modaiolo. Rende il pezzo quasi ridicolo facendo perdere a questo classico tutta l’urgenza e il senso di mistero che possedeva nella incisione originale. Un altro classico, Have you Ever Seen the Rain, affidato alla voce di Alan Jackson, raffinato cantante della Nashville country pop perde anch’esso al tutto lo smalto e la rabbia che possedeva.

Almost Saturday Night è carina, incisa insieme a un’altra star del country, Keith Urban, ma l’arrangiamento tutto banjo e voci declamanti invece che lo scatenato pezzo del sabato sera che era lo fa diventare una piacevole domenica mattina in famiglia. D’altro canto l’età…

Abbiamo lasciato per ultimo il pezzo di apertura, un altro classico della storia del rock. Fortunate Son,l’atto di accusa contro i ricchi che mandavano i poveri dei ghetti a morire in Vietnam viene inciso con i simpatici Foo Fighters: diventa un mistone hard rock, molto più pop che hard, come è la cifra artistica del gruppo dell’ex batterista dei Nirvana. Andrà forte sulle radio mainstream dei giovani americani o su Mtv. Noi corriamo a risentirci l’originale. Altri tempi, altre vibrazioni, altri stimoli. Altra musica, altro John Fogerty.





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