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Home » Cronaca » BIMBI IN PROVETTA/ Perché insistere se anche il “papà” ci ripensa?

  • Cronaca

BIMBI IN PROVETTA/ Perché insistere se anche il “papà” ci ripensa?

Antonio Allegra
Pubblicato 8 Aprile 2014
provetta_eugenetica_bioeticaR439

(InfoPhoto)

Jaques Testar, medico e biologo francese ateo, parla di eugenismo, offrendo così un'occasione per ragionare sul futuro della riproduzione umana. ANTONIO ALLEGRA

Jacques Testart è un medico e biologo francese, pioniere dei bambini in provetta d’oltralpe. È uno scienziato, ateo, di sinistra. Ma essendo un intellettuale intelligente e critico ha sviluppato posizioni non conformiste.

Il suo Faire des enfants demain, da poco uscito per Seuil, offre un’occasione perfetta per ragionare sul futuro della riproduzione umana, e per sviluppare anche qualche considerazione più generale. Dunque: il futuro della riproduzione umana, anzitutto. Il pericolo principale che vede Testart è presto detto. L’enfasi  generalizzata sulla perfezione produce una deriva eugenetica di fatto se non di diritto. Una società costruita attorno ad alcuni miti potentissimi e indiscussi: efficienza tecnica, prestazione, ottimizzazione del rendimento, non può non ambire ad un miglioramento anche del rendimento umano di base – quello connesso con la nascita dei nuovi esemplari. Testart parla di “eugenismo democratico”. Ma il fatto che sia democratico non lo rende meno eugenismo. I grandi progetti ideologici hanno sempre cercato il consenso: ciò non li rendeva più accettabili, bensì assai più pericolosi. L’eugenismo, come vera e propria ideologia scaturita dal plesso della prestazione e della tecnica, non fa eccezione.


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Al fondo, c’è una istanza di questo tipo: perché accontentarsi di un processo altamente imperfetto, aleatorio, sostanzialmente impreciso, quale quello legato da qualche milione di anni alla sessualità? Avendo a disposizione, ormai, una serie di attrezzature tecniche senz’altro idonee anche se ancora non sempre efficaci, la prospettiva di usarle appare irresistibile. In effetti al di là della loro efficienza, che è ancora parziale (o parzialissima, come le autentiche statistiche sulle tecnologie della riproduzione non si stancano di ricordare), ciò che agisce potentemente è la suggestione e la promessa di operatività che racchiudono. Al tempo stesso emerge un certo disprezzo nei confronti di quanto di approssimativo, artigianale, e imprevedibile è presente nella sessualità. Il risultato è infine che il distacco della funzione ricreativa della sessualità da quella riproduttiva, consente all’una e all’altra di perfezionarsi in purezza. Entrambe, cioè, ambiscono a una prestazionalità migliorata e tecnicamente sostenuta.


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Prestazione, tecnica, rendimento: è curioso che in un’epoca che rispolvera, talvolta un po’ a casaccio, vecchi slogan anticapitalisti, proprio un ambito dove la congiunzione tra mercantilismo e tecnologia è particolarmente operante non venga messo in discussione. La mercificazione del corpo, dalle madri surrogate alle donatrici di ovociti o donatori di sperma, è uno sviluppo davvero significativo dei processi tecnocratici contemporanei, anche se, come sempre, ciò che è sotto gli occhi di tutti è ciò che è più difficile da vedere. E occorre aggiungere che anche chi lo vede, ha qualche remora ad esclamare che il re è nudo: la pressione dell’opinione pubblica, come sapeva Tocqueville, è uno strumento quasi irresistibile di omologazione, rispetto a cui gli intellettuali non fanno eccezione.


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Proprio per questo è da rilevare e apprezzare, infine, il fatto stesso che un intellettuale col background di Testart assuma queste posizioni. È ben nota la mossa che trova senso in un contesto anchilosato e settario come quello italiano, e che funge fin troppo bene da facile schedatura preventiva, ovvero l’etichettatura delle sensibilità, e delle rispettive bioetiche, in termini di “laici” e “cattolici”. Invece i temi e le opzioni sono e devono essere trasversali. In realtà qualche intellettuale ha rivelato anche da noi sensibilità affini a quella di Testart: basti pensare all’appello di qualche tempo fa, sottoscritto da Barcellona, Sorbi, Tronti, Vacca. Non a caso il loro opuscolo si motivava all’insegna dell’emergenza antropologica, che è ciò che dovrebbe anzitutto stare a cuore all’intellettuale, ben  al di là della sua eventuale adesione religiosa. Ma è il caso di dire, con rammarico, che ancora una volta l’appartenenza e lo spirito di fazione, per non dire di cordata, qui da noi prevale sull’onestà intellettuale.

Per fortuna la situazione francese sembra più fluida e la discussione più libera. Le recenti e vibranti polemiche sul matrimonio per tutti e lo straordinario e vitale movimento della Manif pour Tous, molto più un’iniziativa dal basso e trasversale che guidata dalle gerarchie della chiesa di Francia, mostrano a sufficienza che solo se sono capaci di suscitare disposizioni affini anche tra coloro che non si collocano entro la visione religiosa, le istanze che per i cattolici sono importanti riescono a incidere sulla società. Ciò non è sorprendente: in un contesto in cui la fede, come opzione assiologica se non come adesione generica, è fenomeno certamente di minoranze, solo se queste minoranze esprimono una capacità attrattiva sono in grado di pesare. 


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