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Home » Economia e Finanza » J’ACCUSE/ Tarantini: così la finanza internazionale mette in ginocchio Italia e Ue

  • Economia e Finanza

J’ACCUSE/ Tarantini: così la finanza internazionale mette in ginocchio Italia e Ue

Int. Graziano Tarantini
Pubblicato 2 Novembre 2011
Trader_Dietro_MonitorR400

Foto Ansa

La grande finanza internazionale, spiega GRAZIANO TARANTINI, ha troppo potere rispetto alla politica nel determinare il futuro di un Paese: una situazione inaccettabile

Il presidente di Banca Akros, Graziano Tarantini, è preoccupato per quello che sta avvenendo sui mercati finanziari, ma analizza la situazione in modo razionale: «Da tempo sto osservando quello che sta avvenendo: sono i centri finanziari che stabiliscono l’agenda economica e politica nel mondo. Se non ce ne rendiamo conto e la politica non riprende il suo ruolo andremo avanti per anni in queste condizioni, con Paesi che entreranno a turno nel mirino e si troveranno vicini al rischio default. Addirittura, ci sono settori produttivi di un Paese che possono entrare in crisi per l’interesse dei centri finanziari: basta creare un caso e lanciare un allarme».


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Come ci si può opporre a una situazione del genere? L’impressione è che, al momento, il mondo politico abbia timore di questi centri della grande finanza.

Certo, in questo momento la politica ha paura e mostra solo timidezza. Ma non si esce da questa confusione, anzi da questa concitazione, se a livello europeo non c’è una forte coesione in politica economica, se non c’è una fiscalità comune, se la stessa Banca centrale europea non diventa l’ultimo garante dei pagamenti. Senza coesione economica e politica, è inevitabile che il Paese più debole venga colpito. La Bce non può limitare il suo raggio d’azione, deve diventare come la Fed. Io non sono affatto contro l’euro, che anzi è importante. Ma da sempre dietro a un moneta c’è un’autorità, uno Stato, ma non dietro l’euro. Ed è questo il male principale dell’Europa.


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Forse sono stati sbagliati i tempi dell’ingresso nell’euro di alcuni Paesi: i numeri della Grecia sconsigliavano un suo ingresso. E anche l’Italia probabilmente ha affrettato i tempi.

Si può concordare con questa analisi. Penso che occorra rivedere i trattati e prendere il tempo necessario per arrivare a un’autentica integrazione dell’Europa e della moneta unica. In fondo una cosa simile c’era da aspettarsela. Ma ora si tratta di ricostruire, di reagire, di ricominciare senza fare saltare tutto. Ho letto un’intervista a Jacques Delors in cui si spiega bene che l’uscita della Grecia dall’Eurozona potrebbe avere un effetto devastante e porre le premesse per la fine dell’euro.


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Da dove può cominciare questa reazione?

Bisogna porre il problema della riforma delle banche, come è stato fatto dopo il 1929. Non è possibile continuare con questa situazione, con le grandi banche che dettano legge e che creano un oligopolio finanziario internazionale. Non so se ci si rende conto che con la ricapitalizzazione e i nuovi coefficienti a cui si sta pensando verranno penalizzate soprattutto le banche che fanno credito alle imprese, agli artigiani, all’economia reale.

Come andrebbe fatta questa riforma?

Occorre arrivare a una tripartizione: banche commerciali, banche di medio termine e banche di investimento. Per ognuna di queste categorie i coefficienti devono essere diversi. Certamente inferiori quelli delle banche commerciali e di medio termine, mentre si deve imporre un coefficiente alto, intorno al 20%, alle banche d’investimento. Naturalmente, le grandi banche internazionali si oppongono a questo. Ma è la politica che deve prevalere, che deve imporsi e non lasciare che la finanza stabilisca le regole che le convengono.


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Pensa che anche personaggi come Angela Merkel e Nicolas Sarkozy rappresentino una leadership politica debole?

 

Tutta la classe politica in questo momento dimostra paura di fronte ai grandi centri della finanza internazionale. Hanno paura dei downgrade, hanno paura di doverli giustificare poi davanti ai propri elettori. Quando li sento parlare di riforme, fanno quasi ridere. In realtà, alla finanza internazionale le riforme non interessano affatto, anzi le cose le vanno bene così come sono. Sicuramente le interessa di più la ristrutturazione del debito pubblico di un Paese. Ma questo è diventato ormai inaccettabile. La politica deve riprendere il suo primato, deve stabilire criteri e regole. Poi possono arrivare le esigenze della finanza.


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(Gianluigi Da Rold)

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