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Home » Politica » Elezioni » ELEZIONI 2018/ “I moralisti al potere fanno più paura di tutto il resto”

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ELEZIONI 2018/ “I moralisti al potere fanno più paura di tutto il resto”

Int. Mauro Calise
Pubblicato 21 Febbraio 2018
elezioni_voto_schede_elettorali_2_lapresse_2016

Elezioni Comunali Amministrative 2018, Toscana e Umbria (LaPresse)

La fase dei poco credibili programmi pare esaurita, ora tocca allo shopping tra le fila degli avversari (pensando al dopo) e alle alchimie del "voto utile". L'analisi di MAURO CALISE

Pd e Leu litigano per l’endorsement di Romano Prodi, in Campania va avanti la battaglia senza esclusione di colpi tra De Luca e Di Maio (ritenuto il “mandante” dell’inchiesta che ha portato alle dimissioni del figlio Roberto) mentre Berlusconi si dice pronto ad arruolare i grillini cacciati dal movimento. La fase dei poco credibili programmi pare esaurita, ora tocca allo shopping tra le fila degli avversari (pensando al dopo) e alle alchimie del “voto utile”. “Il modello — spiega al sussidiario Mauro Calise, politologo, docente nell’Università di Napoli Federico II ed editorialista del Mattino — è ancora quello della democrazia del leader, ma i leader non ci sono più”. Ciò che deve far più paura, dice Calise, è l’etica come arma di governo, perché dopo quella non c’è più nulla. Solo “Amici” e Higuain.


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Mauro Calise, contano davvero i programmi dei partiti in questa campagna elettorale?

I programmi contano poco, ma questo deriva dal fatto che sono assenti le leadership che hanno fatto da catalizzatore nel passato. Il modello è ancora quello della democrazia del leader — è il leader che riesce a sfondare nella melassa comunicativa e nell’overflow di informazioni —, ma i leader non ci sono più.


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A chi pensa?

A Grillo nel 2013, a Renzi prima di andare al governo. La capacità di comunicare è sempre più legata a una capacità di leadership forte, ma se questa viene meno, il meccanismo si inceppa e tutto appare piatto.

Dunque i messaggi forti passano se ci sono leader forti. Altrimenti?

Altrimenti i programmi non interessano a nessuno e resta uno scontro di messaggi finti-forti ma non convincenti. Le false promesse e le bufale non sono credute, non perché sono tali, ma perché non sono credibili i leader.

Eppure i leader ci sono e parlano di continuo.

Sì, ma sono deboli. Di Maio non può sostituire Grillo e si regge soltanto sul suo controllo del server, Renzi è in caduta verticale di leadership, Berlusconi è una penosa riedizione di se stesso, Salvini sgomita per conquistare nuovo spazio ma ha ormai esaurito quello disponibile. E infatti di nessuno di loro ci si aspetta che possa diventare sul serio capo del governo.


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Quando la legge elettorale è stata approvata, Ainis ha scritto che è “come se alle forze politiche italiane mancasse un’idea di società, una direttrice culturale di cui la legge elettorale dovrebbe essere lo strumento”.

La legge Rosato è il tentativo di dare una forma dignitosa, formalmente dignitosa all’elezione e nulla più. A mancare è la governabilità. Come effetto combinato degli interventi della Consulta e dell’opposizione politica che si è coagulata nel paese, l’idea di governabilità è stata sconfitta e al suo posto non se n’è trovata un’altra.

Che cosa vedremo?

Un governo di risulta, appoggiato in buona parte da parlamentari in libera uscita.

L’astensione preoccupa i politici, che si combattono con esortazioni incrociate al voto utile. La gente che cosa chiede alla politica?

Siamo in una fase storica in cui si sono definitivamente destrutturati i grandi partiti, gli unici che hanno dato senso alla sua domanda. Se lei si riferisce agli italiani a basso livello di istruzione e socializzazione, queste persone sanno probabilmente tutto di Higuain o di “Amici” ma poco o nulla di come si vota o della flat tax. 

E quindi, professore?

L’interesse e la passione politica non nascono dalla testa dei politici di professione ma dalle viscere della società. I partiti sono stati i canali che hanno portato le masse nella politica e nello Stato. La democratizzazione del potere, che non nasce democratico ma verticale e di parte, è avvenuta grazie ai partiti. Ma i tempi sono cambiati e la forza delle fratture sociali che hanno alimentato le battaglie dei partiti si è esaurita. La politica si è liquefatta, e la rappresentanza anche. 

Se i partiti erano il tramite solido della democrazia e ora si sono sgonfiati, che democrazia avremo?

Diversa e più fragile. Basta guardarsi intorno per capire che si trema un po’ dappertutto. La Francia si è inventata Macron, che è andato al potere con il 23 per cento dei consensi; oggi forse sono ancora meno, ma nessuno per quattro anni gli toglierà l’Eliseo. La Germania ha la sfiducia costruttiva. Noi abbiamo un assetto istituzionale e di governo molto più debole che nelle altre democrazie avanzate. 

Cosa ci manca?

Un governo che abbia una qualche autonomia costituzionale degna di questo nome. Si celebrano i trent’anni della legge 400/1988, fortemente voluta dai partiti laici di allora. Doveva dare più poteri a Palazzo Chigi ma non è bastata.

Che cosa la preoccupa di più?

L’invasivo ricorso all’etica: il grido all’onestà, la caccia allo scontrino, l’epurazione di chi non è conforme. Quando l’etica diventa un’arma di governo, fa più paura di tutto il resto.

Perché secondo lei l’etica dell’onestà è così popolare?

Perché è rimasta la cosa più semplice da dire. 

(Federico Ferraù)


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