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Home » Esteri » Medio Oriente » GUERRA IN SIRIA/ Assad può vincere a Ghouta, ma gli Usa hanno già diviso il paese

  • Medio Oriente
  • Esteri

GUERRA IN SIRIA/ Assad può vincere a Ghouta, ma gli Usa hanno già diviso il paese

Int. Lorenzo Marinone
Pubblicato 23 Marzo 2018
siria_guerra_10_lapresse_2018

In Siria (LaPresse)

L'impatto militare siriano, nonostante le molte vittime civili, sta portando Assad alla vittoria nella battaglia di Ghouta. Ma questo non significa una Siria riunita. LORENZO MARINONE

Pochi qui in occidente, colpa di una cattiva informazione, si sono resi conto che quando si parla di “battaglia di Ghouta” tra forze governative siriane e ribelli, si sta parlando della periferia di Damasco. La capitale siriana è stata colpita pochi giorni fa da alcuni razzi che hanno fatto strage in un mercato a un paio di chilometri dal convento cristiano costruito per ricordare la conversione di San Paolo, tra le vittime anche bambini cristiani. Questo ci dice che l’obiettivo primario per Assad è scacciare i ribelli da questa zona, costi quel che costi, anche in numero di vittime civili e soldati del suo esercito. Lorenzo Marinone, analista di Medio Oriente e Nord Africa per il Ce.S.I. – Centro Studi Internazionali, ci dice che quel territorio è stato diviso dall’esercito governativo in tre sacche, di cui una si è già arresa, mentre per le altre due, se non si arrenderanno, ci sarà l’offensiva finale nel giro di poche settimane. Restano per Assad una serie di problematiche che impediscono la rinascita di una Siria riunificata.


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Marinone, secondo alcune fonti Assad avrebbe riconquistato in un mese circa l’80 per cento del territorio di Ghouta in mano ai ribelli, ce lo può confermare?

Quello che Assad sta applicando a Ghouta è un modello di comportamento militare che ha seguito più volte negli ultimi anni di guerra.

Cioè?

La priorità è stata in questo ultimo periodo aumentare la pressione sulle sacche ribelli e quindi lanciare offensive anche con l’uso spregiudicato della forza, colpendo non solo obiettivi militari ma anche infrastrutture civili con le conseguenze che vediamo. Questo ha uno scopo ben preciso.


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Quale?

Quello di indurre la popolazione a non sostenere più i combattenti ribelli, creando loro in questo modo il problema di controllo del territorio. A Ghouta ci sono una varietà di gruppi, alcuni jihadisti altri salafiti. Secondariamente, la pressione dal punto di vista militare non ha solo l’obiettivo di arrivare a una sconfitta definitiva dei ribelli, costosa in termini vite umane anche per il suo esercito, ma anche quello di convincerli ad accettare non una tregua, ma un trasferimento.

Quello che è stato fatto ad Aleppo, giusto?

Ad Aleppo e in molte altre zone, i combattenti che si sono arresi sono stati presi e spostati nella provincia di Idlib, l’unica roccaforte dei ribelli dove questi hanno ancora il controllo di una capitale provinciale. La distruzione totale di una città in prospettiva non conviene ad Assad, perché imporrebbe un prezzo troppo alto alla popolazione civile che poi non accetterebbe un processo pacifico con lo stesso Assad.


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Però è anche vero che i ribelli fanno uso della popolazione civile come scudi umani.

Assolutamente sì, è stato verificato con diverse testimonianze di civili che dicono che era stato impedito loro di lasciare le zone sotto bombardamento. Questo fa parte della strategia dei gruppi ribelli. Così come il bombardamento recente su Damasco è un episodio di pura rappresaglia, uno sfogo per far vedere di essere ancora militarmente attivi.

Secondo lei che tempi avrà ancora la battaglia di Ghouta?

Le truppe governative hanno spaccato il territorio in tre sacche. I ribelli di una di queste hanno già accettato il trasferimento, per le altre due presumibilmente accadrà a breve. Se non accettassero ci sarebbe un attacco finale di alcune settimane, ma è più probabile che si trovi un accordo anche per queste.

Spostandoci ad Afrin, occupata dall’esercito turco, che scenario vede? Assad aveva promesso ai curdi una regione autonoma per loro, ma adesso?

Bisogna dire che già nel 2011 Assad aveva fatto questa promesso ai curdi, di fatto quando poi si è arrivati al dunque il governo di Damasco ha rifiutato. il rapporto con i curdi è molto volubile. 

E i turchi?

La Turchia ha come obiettivo primario di riposizionarsi nella zona allontanando i curdi dal confine. Ha aperto dei canali diplomatici con i russi per ottenere una zona controllata da loro. La presenza militare turca ad Afrin durerà parecchio, serve ad Ankara come moneta di scambio da utilizzare al momento di fare degli accordi e ottenere che i curdi siano allontanati dal loro confine. 

Dunque la strada verso una Siria riunificata è lunga, piena di ostacoli?

Nel 2017 Assad ha riconquistato molta parte della Siria, ma una zona che va da un quarto a un terzo di territorio è sotto controllo delle forze curde, il nord est fino al fiume Eufrate. E qui ci sono gli americani che sostengono i curdi. Il futuro diventa una grande incognita, la presenza americana confermata recentemente spacca in due il paese e se gli Usa continuano a mantenere la loro presenza è difficile si possa verificare una Siria unificata in tempi brevi.

(Paolo Vites) 


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