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Home » Cultura » Letture e Recensioni » LETTURE/ Da Sjöwall a Nesbø, quando il medico muore insieme al suo malato

  • Letture e Recensioni
  • Cultura

LETTURE/ Da Sjöwall a Nesbø, quando il medico muore insieme al suo malato

Domenico Bilotti
Pubblicato 24 Febbraio 2017
svezia_stoccolma_scandinaviaR439

Veduta di Stoccolma (LaPresse)

Il giallo scandinavo sta avendo ancora grande successo, però nasconde la sua crisi. Il malato è scomparso, ma il medico appare incapace di reinventare la sua arte. DOMENICO BILOTTI

Il crescente successo raggiunto negli ultimi due decenni da autori di gialli, thriller e noir di provenienza nord-europea ha avuto molti aspetti positivi per la nostra cultura di massa. Innanzitutto, ha consentito di dare finalmente lustro ad autori che sarebbero, altrimenti, rimasti immeritatamente nel dimenticatoio, per la mancanza di riscontro commerciale e di traduzioni accessibili nei normali circuiti librari italiani. 


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Si fa primario riferimento alla coppia di scrittori svedesi — coppia anche nella vita e peculiarmente allergica ai riflettori —  costituita da Maj Sjöwall e Per Fredrik Wahlöö, ciascuno dei due caratterizzato da una propria, autonoma, produzione letteraria, non meno intensa dei gialli composti a quattro mani e imperniati sull’asciutto ispettore capo Martin Beck. I loro romanzi riprendono molto del giallo europeo d’ambiente e, con toni dimessi ma densamente realistici, tratteggiano le contraddizioni della socialdemocrazia scandinava. Ammirata, studiata, egualitaria, ricca, emergente. Nuova Atene, eppure con i suoi scheletri nell’armadio, fatti di assimilazionismo, diseguaglianze sociali, marginalità, tossicodipendenze, frustrazioni lavorative e incomunicabilità personali. 


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La nouvelle vague del crime nord-europeo ha così consentito al lettore italiano di incontrare anche autori decisamente più commerciali, ma non privi di una forte visione critica sulla deriva autoreferenziale delle benestanti regioni settentrionali. Il recentemente scomparso Henning Mankell aveva approcciato un successo planetario ancor più corposo, grazie al carismatico commissario Wallander: enigmatico, cupo, ostinato, in viaggio per la Scandinavia che entrava in contatto con le culture baltiche allo smembramento dell’Unione Sovietica. 

Il successo commerciale non è indizio di qualità assente nemmeno per l’altro padre nobile del thriller scandinavo, Stieg Larsson, i cui libri più celebri (in testa, Uomini che odiano le donne) hanno, però, ottenuto il sensazionale riscontro che ben conosciamo solo alla morte dello scrittore e giornalista svedese. Qui la critica sociale si esprime in toni più aspri, grazie ad elementi criminologici e storie estreme, invero non sempre messi a fuoco, ma utili ad arricchire il quadro d’analisi. La società nordica inizia ad esplodere a contatto con l’altro: migrazioni, mal riuscite imitazioni della politica statunitense, ambigui rapporti commerciali (leciti e non, ancora una volta) coi cartelli criminali dell’Est. 


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Grazie al successo del giallo nordico, poi, in Italia sono arrivati anche autori di realtà molto più piccole della Svezia socialdemocratica, civile, borghese. Molto più particolari, pur se fondamentalmente connotate da contraddizioni simili (la tradizione protestante, la mentalità politica orientata al deciso interventismo statale, la tentazione di liberalizzazioni mal regolamentate). Un poliziotto silenzioso, sfortunato, munito di un’abnegazione quasi cieca come il commissario Erlendur avrebbe potuto uscir fuori solo dalla penna dello scrittore islandese Arnaldur Indriðason — che, in realtà, nel proprio quotidiano, è ben più solare del suo meditabondo protagonista. 

Dietro l’etichetta del “giallo nordico”, una tinteggiatura unitaria spesso brandita solo in nome della provenienza geografica o del marketing, sono confluiti molti, moltissimi, altri bestseller del momento e non pochi — ma nemmeno numerosissimi — autori di spessore. Sono questi ultimi ad avere dato nuova linfa (e un’ennesima stagione di rifioritura) al genere, creando una sorta di “noir diffuso”, dove l’inchiesta sociale si disperde, ma ad essere sotto inchiesta è per intero la predisposizione violenta di un mondo apparentemente pacificato dalle leggi, dalla prosperità e dalla realizzazione economica. Il norvegese Jo Nesbø non scrive gialli, ma thriller che, dietro i personaggi viziosi e disperati, spesso adombrano vere e proprie slavine di pulp e trash (traduciamo in libertà: inverosimiglianza e cattivo gusto). Eppure, le sue pagine migliori raccontano ancora la bruciante sconfitta del capitalismo “gentile”, trionfalistico, relativista, provvisorio. E stanno in linea con alcuni classici del settore il rude, ex-scaricatore di porto, Lars Bill Lundholm e lo scozzese Ian Rankin, che ha frequentato più pub e gialli svedesi che non le sale da tè per i turisti di Londra e dintorni, con le foto di Agatha Christie alle pareti.  

Il filone letterario è, però, annaspante, nonostante abbia dalla propria una nuova generazione interessante e un pubblico addirittura incrementato. Ieri, il giallo scandinavo aveva annunciato il morbo dei nostri sistemi post-fordisti, con una diagnosi chirurgica, pensierosa, ruvida, precisa. Si era schierato contro il fantasma moralista ma privo di valori dello statalismo dirigista. Ora il malato è scomparso, e il suo vecchio medico, per così tanti decenni inascoltato, oggi alle prese col successo è incapace di reinventare davvero la propria arte. Un medico, cioè, che rischia di morir presto insieme al suo malato. 


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