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Home » Cultura » Letture e Recensioni » LETTURE/ La Maddalena di Caravaggio, lo sfinimento con non “ipoteca” la vita

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LETTURE/ La Maddalena di Caravaggio, lo sfinimento con non “ipoteca” la vita

Domenico Bilotti
Pubblicato 7 Agosto 2016
caravaggio_maddalena

La Maddalena penitente di Caravaggio

DOMENICO BILOTTI conclude il suo trittico sulla raffigurazione artistica della figura della Maddalena parlando del dipinto realizzato da Caravaggio alla fine del Cinquecento

L’ultima tappa di questo itinerario sulla raffigurazione della donna per il tramite della Scrittura è costituita dalla Maddalena penitente di Caravaggio, dipinto databile alla fine del XVI secolo (si ritiene tra il 1594 e il 1595). Si tratta di una penitenza ancora più netta e faticosa di quella immaginata da Donatello, eppure siamo in presenza di una Maddalena ancora più pienamente e consapevolmente umana di quella di Piero della Francesca. La prima andava incontro al digiuno e all’astinenza, la seconda all’illuminazione. La Maddalena di Caravaggio rischia di sembrare nel vicolo cieco del peccato, della sofferenza e della rassegnazione. 


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La statua di Donatello era vestita di stracci, l’affresco di Piero della Francesca si proiettava in una trascendenza che riesce a mettersi a colloquio con ogni tempo. La “dama” di Caravaggio è una donna dei suoi giorni, a partire dal vestiario. La modella dell’opera fu forse la giovanissima prostituta Anna Bianchini. Questo dettaglio, nella vita del Caravaggio, è spesso enfatizzato: Caravaggio dipingeva a partire dai modelli di cui si nutrivano la sua azione, la sua esistenza, la sua esperienza. Ma non tratteggiava parallelismi tra il proprio vissuto e i disegni universali del Creato: la raffigurazione veridica sin quasi alla violenza non significava affatto sbarrare la strada alla spiritualità, alla interiorizzazione e al travaglio intimo e personale. 


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E parimenti paiono infondate le accuse di antistoricità: prostitute e locandiere dipinte con vestigia sacre per essere tollerate dalla cultura ufficiale. Non è questa la strategia “narrativa” di Caravaggio. Anzi, la sua opera è sempre vivace, in presa diretta, talvolta con un evento che sconvolge il piano del racconto e folgora esattamente un preciso istante. 

La Maddalena di Caravaggio non è perciò Anna Bianchini travestita da Maddalena. È la raffigurazione della Maddalena impersonata nella mente dell’artista da un soggetto presente in carne e ossa, a prescindere dalla sua identificazione puntuale. La veste è larga, disordinata, eppure in essa allo sguardo prevale non il tono scuro e patito circostante, bensì il candore delle maniche. La pelle diafana e liscissima sembra introdurci alla contrapposizione tra ciò che si crede e ciò che si è compiuto, tra ciò che identifica i nostri valori e le maldestre modalità di attuazione che loro assegniamo nella quotidianità. 


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La penitenza per Caravaggio è precipuamente il volto di una donna esausta e sfiancata. Quasi dormiente, “accucciata” sul suo dolore. Non c’è la rappresentazione vittoriosa dell’ampolla con cui viene purificato e deterso il Cristo. Essa non rappresenta ancora per la penitente la possibilità di ascendere partendo dalla propria limitata esperienza carnale e cercando di fronteggiarne i limiti e i fallimenti. 

Più che il lato agiografico-teologico, a Caravaggio interessa il lato umano, anche drammaticamente e teatralmente umano. Riesce così a dipingere il volto sfiancato, il dolore profondo, lo sfinimento fisico. Quello sfinimento però non è l’ipoteca sul futuro della vita: guardarlo negli occhi è il solo modo per dragarne il fiume. 


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