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Home » Cultura » Letture e Recensioni » LETTURE/ Da Pirandello a Eliot, quando l’infinito “apre” le sbarre

  • Letture e Recensioni
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LETTURE/ Da Pirandello a Eliot, quando l’infinito “apre” le sbarre

Alfio Pennisi
Pubblicato 13 Settembre 2016
pirandelloR439

Luigi Pirandello (1867-1936)

Nello storico carcere di piazza Lanza, a Catania, dall'iniziativa di un prete, don Ciccio Ventorino, è nato un laboratori teatrale fatto interamente dai detenuti. ALFIO PENNISI

Carcere di Piazza Lanza, Catania. Sono le tre di un appiccicoso pomeriggio di luglio, e — dopo gli inevitabili controlli — entrano alla spicciolata, nella sala colloqui, i familiari dei detenuti: sono mamme, papà, mogli e compagne, fratelli, figli, nipoti, e si muovono con la sicurezza di chi conosce già i luoghi in cui si trova. C’è, tuttavia, negli occhi di tutti, una sorta di inusuale attesa, una curiosità che si alimenta — un po’ divertita — da alcuni oggetti disposti sui tavolini della sala: un vecchio abat-jour, uno specchio, alcuni libri, una gabbietta per uccellini.


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Dopo un po’, è la volta dei detenuti e il loro arrivo accresce l’attesa, giustifica la curiosità. Sono in otto, sei uomini e due donne, e fanno ingresso — mentre un lettore Cd irradia una festosa musica da banda — sfoderando ciascuno una mise decisamente fuori ordinanza: Gino (i nomi sono di fantasia) è in canottiera, Franco è in giacca e cravatta, Luigi, Pippo e Biagio indossano delle toghe (figurarsi!), Pino ha un camice da usciere, Enza e Mary, come popolane di inizio ‘900, sfoderano gonne lunghe e fazzolettoni in testa. Che sta succedendo? Succede che quello che sta avvenendo non è un normale colloquio, ma una vera e propria messa in scena: i detenuti recitano “‘A patenti”, di Luigi Pirandello, a conclusione di un laboratorio teatrale che li ha visti impegnati a partire dal mese di aprile. 


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Nato nel 2012, il “laboratorio espressivo-teatrale” di Piazza Lanza prende le mosse da un progetto… fallito.

Tra i volontari della cappellania, da tempo impegnati in diverse attività all’interno della casa circondariale, c’era chi sapeva suonare la chitarra e cantare, ed era sembrata una buona idea quella di proporlo ai detenuti; si era quindi partiti — era settembre — con Lucio Battisti e Gianni Morandi. Le cose, però, si erano rivelate subito complicate: qualcuno preferiva il rock, qualcun altro — molti di più, in verità — invocava i neomelodici: insomma, i pomeriggi passavano più ad accordarsi sulla scelta delle canzoni che a cantarle insieme. Fino a quando uno dei detenuti, deluso, sbotta: “Qua io non ci vengo più: a Siracusa facevo teatro, lì sì che ci si divertiva…”. Lo schiaffo brucia un po’, ma l’idea è buona e si parte. 


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Da allora, sono stati all’incirca una decina i testi portati in scena, con cadenza più o meno quadrimestrale in occasione delle festività natalizie, di quelle pasquali e del periodo estivo.

Accanto agli impegnativi Barabba del Nobel Lagerkvist, Bariona di Sartre, Processo a Gesù di Diego Fabbri, La leggenda del Santo Bevitore di Roth, hanno trovato spazio San Giovanni decollato di Nino Martoglio, Cantico di Natale di Dickens, ‘A giara e — come già ricordato — ‘A patenti di Pirandello.

L’impegno è entusiasmante ed esigente insieme: ci si incontra per le prove una volta la settimana, per un paio d’ore, salvo poi infittire gli appuntamenti quando la data dello spettacolo si avvicina. Accade sempre, poi, che qualche attore sia trasferito o messo in libertà a poche settimane (se non giorni) dalla recita e che il sostituto debba imparare la parte in fretta e furia, facendo esercizio di umiltà, sacrificio e… furbizia; come quella volta in cui, si rappresentava “‘A giara”, l’attore che doveva fare l’avvocato Scimè, con due sole prove alle spalle, due minuti prima di entrare in scena appiccicò le pagine del copione all’interno del quotidiano che doveva portare sottobraccio, pronto a dare una sbirciatina se gli mancava la battuta.

Il momento conclusivo, quello dello spettacolo, è certo una circostanza esaltante: le repliche sono tre, due al mattino — di fronte non solo ai detenuti dei diversi reparti, ma anche dinanzi alla direzione, alla polizia penitenziaria, agli educatori, al personale scolastico — una pomeridiana, commovente, dinanzi ai familiari. 

Gli applausi, forti e convinti, frutto della generosità del pubblico oltre che della perizia degli attori, non mancano mai; al di là del successo, tuttavia, le recite sono un evento perché in esse si manifesta con evidenza ciò che il formidabile don Ciccio Ventorino, compianto e indimenticato cappellano di Piazza Lanza fino al 2015, disse proprio in occasione dello spettacolo dell’estate 2014: in questo luogo “la sofferenza della detenzione carceraria si coniuga con il rispetto per la dignità di ogni persona e per la cura che altre sofferenze non abbiano ad aggiungersi a quella pur grande della privazione della libertà… Il gesto di questa sera ne è dimostrazione evidente perché… è un momento di sollievo e direi quasi di vita normale per i detenuti: uno spettacolo all’aperto in una serata d’estate”. E se ciò accade, vale la pena ricordarlo, è perché la dimensione “redentiva” — oltre che detentiva — del carcere è condivisa e fatta propria dall’intera istituzione: direzione, polizia penitenziaria, educatori. 

Il cartellone della nuova stagione non è stato ancora reso noto e i nomi in ballo sono tanti: Dante, Eliot, Wilde, Cervantes, De Filippo. Una cosa, però, è certa: a Piazza Lanza, il palcoscenico  non resterà deserto.


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