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Home » Impresa » IL CASO/ Luongo (Ice): 65 “braccia” all’estero per le nostre imprese

  • Impresa

IL CASO/ Luongo (Ice): 65 “braccia” all’estero per le nostre imprese

Int. Roberto Luongo
Pubblicato 2 Giugno 2013
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Infophoto

ROBERTO LUONGO, direttore generale dell'Ice, ci parla dell'intensa attività dell'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane

«Il governo Berlusconi chiuse l’Ice il 6 luglio del 2011. Poche settimane prima della caduta di quell’esecutivo, però, durante gli Stati generali del commercio estero, lo stesso Berlusconi, Frattini e l’allora viceministro al Commercio estero, Catia Polidori, annunciarono che l’Ice sarebbe stata riaperta. Credo che nessuna agenzia pubblica sia stata chiusa e riaperta tanto velocemente. Anche Paolo Romani, all’epoca ministro dello Sviluppo Economico, aveva ammesso che chiudendo l’Ice era stato commesso un grave errore». È Roberto Luongo, direttore generale dell’Ice, a parlarci dell’intensa attività dell’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane. In particolare, l’Ice ha il compito di agevolare, sviluppare e promuovere i rapporti economici e commerciali italiani con l’estero, concentrandosi principalmente sulle esigenze delle piccole e medie imprese. Abolita dal governo Berlusconi nell’ambito dei tagli alla spesa pubblica, venne ricostituita dall’esecutivo guidato da Mario Monti. 


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Quali sono le maggiori differenze tra il “vecchio” e il nuovo Ice?

Chiaramente tra le due esperienze c’è una continuità di fondo dal punto di vista della struttura, visto che l’agenzia, nata nel 1926, ha una tradizione quasi “genetica” di assistenza alle imprese. Detto questo, credo che tra le maggiori novità vi sia senza dubbio una maggiore competenza nel campo dell’attrazione degli investimenti esteri e della promozione degli investimenti verso l’estero, due attività che completano l’azione di supporto dell’export italiano sui mercati internazionali. Inoltre, gli uffici dell’Ice sono diventati parte integrante delle ambasciate di ogni Paese del mondo in cui abbiamo gli uffici, diventando le sezioni per la promozione degli scambi.


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Quante sedi ci sono nel mondo?

L’Ice ha 65 uffici all’estero e, attraverso recenti rivisitazioni e ristrutturazioni, siamo arrivati anche a fare nuove aperture in città importanti, tra cui Doha in Qatar, Maputo in Mozambico, Bogotà in Colombia. Il prossimo anno, invece, apriremo altri uffici nell’Africa subsahariana e a Zurigo, proprio per poter dare maggiore assistenza.

Quali sono i costi dell’Ice per lo Stato?

Questo è un argomento su cui spesso vengono elencate cifre non vere. L’Ice ha un costo di 82 milioni di euro, di cui circa 75 provengono dalla legge di stabilità e i restanti dalla nostra attività, come la vendita di servizi e così via. Sempre nella legge di stabilità è previsto anche un fondo di 30 milioni di euro per le attività promozionali che svolgiamo all’estero, ad esempio fiere, workshop, seminari, campagne pubblicitarie e molto altro ancora. Voglio però sottolineare che la nostra attività promozionale viene cofinanziata dalle imprese, con un tasso di copertura mediamente del 42%, che però può aumentare per le iniziative a carattere commerciale più importanti.


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Quali sono le attività che l’Ice compie per sostenere l’internazionalizzazione delle imprese italiane?

Ogni anno organizziamo circa 4-500 iniziative promozionali in tutto il mondo, oltre a eventi molto puntuali come workshop sulle energie rinnovabili o seminari “B to B”. Copriamo in totale circa una quarantina di macrosettori e una settantina di settori industriali e dei servizi, fornendo supporto soprattutto alle piccole e medie imprese: in Italia ci sono oltre 200mila imprese esportatrici, mentre in paesi come Spagna, Germania, Francia e Inghilterra non si va oltre le 40-50mila. È da questi numeri che si vede la vera dinamicità di un grande Paese manifatturiero come l’Italia, il cui tessuto economico è però composto principalmente da imprese molto piccole che esportano sui mercati internazionali fatturati molto bassi. Ecco perché da sempre l’Ice rivolge la propria attenzione verso le micro, piccole e medie imprese.


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Si dice talvolta che le strutture a disposizione delle imprese italiane per sbarcare sui mercati esteri non siano all’altezza di quelle di altri paesi (per esempio, la Germania). Dove occorrerebbe migliorare quindi?

Proprio in riferimento alle cifre citate in precedenza, probabilmente è molto più semplice stabilire delle politiche di assistenza alle imprese e di supporto all’internazionalizzazione con una platea di esportatori composta da 40-50mila imprese. È invece molto più complicato assistere e informare quando le aziende sono oltre 200mila. Credo che ciò che manchi di più alle imprese siano dei manager che possano sostenerle sul mercato internazionale, ed è per questo che l’Ice organizza corsi di formazione per manager e funzionari stranieri in collaborazione con numerose università italiane. Bisogna però anche dire che in questo il ministero degli Esteri ha fatto negli ultimi anni molti passi in avanti: la diplomazia non è più la stessa di 10-20 anni fa e oggi è rivolta principalmente all’internazionalizzazione.


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È giusto che una struttura come l’Ice sia pubblica e non, per esempio, delle associazioni imprenditoriali?

Assolutamente sì, e ovviamente non lo dico solo io. A livello mondiale è stata eseguita un’analisi dall’International Trade Centre di Ginevra, una struttura indipendente delle Nazioni Unite, da cui è emerso che solo in Australia è presente una struttura mista in cui il finanziamento è più privato che pubblico. Il supporto all’internazionalizzazione è generalmente ritenuto una continuazione della politica estera del nostro Paese e di conseguenza viene considerato un aspetto di carattere pubblico: difficile quindi che un’azione del genere possa essere finanziata attraverso fondi prevalentemente privati.


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(Claudio Perlini)

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