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Home » Milano » QUARTIERI IN BILICO/ La psico-mappa di Milano, passeggiando in periferia

  • Milano

QUARTIERI IN BILICO/ La psico-mappa di Milano, passeggiando in periferia

Lucia Ruggerone
Pubblicato 11 Febbraio 2011
MilanoViaPadovaR400

Raddoppiano le vie milanesi dove prevalgono imprese di immigrati (Imagoeconomica)

Una città si può studiare in tanti modi diversi: “dall’alto”, come se della città fosse soprattutto importante individuare la mappa, o passeggiando tra le vie, come ci spiega LUCIA RUGGERONE

Una città si può studiare in tanti modi diversi, le restituzioni di uno stesso territorio urbano possono essere tante quanti sono gli sguardi che l’hanno preso a oggetto di attenzione. In genere, lo sguardo dell’urbanista tradizionale è uno sguardo “dall’alto”, come se della città fosse soprattutto importante individuare la mappa ed eventualmente intervenire seguendo un criterio funzionale.


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In questa ottica, pure utile, la città rimane però un “corpo estraneo”, un oggetto senz’anima di cui si possono “spostare i pezzi”, distruggerli e ricostruirli senza trovare alcuna resistenza.
Contrapposta a questa ottica funzionale, c’è invece quella che guarda alla città come un luogo o un insieme di luoghi dotati di un carattere, di un’anima che deriva dalla vita che si svolge in essi.


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Lungi dall’essere solo scenari interscambiabili, i territori urbani vivono in modo interdipendente con i loro abitanti e/o visitatori, acquisendo una speciale aura che li caratterizza. Per scoprire questa aura non basta guardare la città dall’alto, l’aura si percepisce solo in basso per le strade e fra la gente; per questo diventa fondamentale l’atto del camminare che ci consente di guardare i diversi quartieri della città come zone dinamiche e di osservare le tattiche che hanno luogo nello spazio cittadino inglobandolo nel vissuto di chi lo occupa e lo definisce.

Senza contare che il camminare per la città può diventare anche un’attività politica. Per esempio Rebecca Solnit, un’artista e attivista americana famosa anche in Italia per i suoi studi sulla città, afferma che camminare per le strade consente di riappropriarsi di luoghi che altrimenti rischierebbero di essere soltanto dedicati al consumo, e serve a impedire che la città diventi solo una giustapposizione di quartieri funzionali che veramente diventano “terra di nessuno” nei momenti in cui quelle funzioni non sono in svolgimento.


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La pratica del camminare era peraltro già stata adottata e nobilitata come strumento di conoscenza e osservazione dalla pratica della flânerie; il flâneur originariamente  è appunto un artista, un bohemien che nutre la sua arte di vita urbana e così facendo si ribella ai canoni tradizionali non più adeguati a rappresentare la complessità moderna. Uno dei primi flâneur fu infatti Charles Baudelaire che paragonava il flâneur a un “botanico del marciapiede”.

Questo metodo però può essere utilmente adottato anche dal ricercatore sociale e dall’urbanista che intendano studiare dei luoghi non solo sulla base dei dati raccolti, ma anche facendosene un’esperienza diretta e acquisita camminando sul campo. Camminare nello spazio, sia esso rurale o urbano, è anche un modo di praticare una ricerca etnografica intesa come pratica che al pari di altre collabora alla trasformazione di uno spazio in luogo.


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Utilizzando questo tipo di approccio basato sulle passeggiate etnografiche, ho tracciato degli itinerari che snodandosi tra i quartieri oggetti del nostro studio, individuano per ciascuno alcuni punti nevralgici, dei luoghi cioè in cui il quartiere rivela la sua anima (o una di esse) e rappresenta meglio il suo ruolo nella fitta rete di rapporti che compongono una metropoli complessa quale è ormai anche Milano.

Così ho scoperto per esempio che, in piazza Prealpi a Villapizzone, il mercato comunale (un sito decadente in  molte altre aree) è un vivace punto di incontro per gli anziani del quartiere e che lì intorno pulsa l’anima più antica della zona che convive con i più recenti  (e visibili) innesti di cinesi, ormai un’etnia dominante nella zona, e i giovani professionisti che hanno preso casa nei loft di via Airaghi.


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E ancora, ho partecipato ad alcune delle serate di mezza estate alla Triennale Bovisa che, rispetto alla più famosa sorella maggiore sita in parco Sempione, rappresenta l’anima più irrequieta della scena artistica della città, il palcoscenico periferico che offre agli artisti più giovani e ancora poco noti o a quelli più trasgressivi la possibilità di misurarsi col pubblico.

In un’altra passeggiata ho respirato l’aria primaverile del vecchio quartiere/paese al di là dei binari di Lambrate e al di qua del fiume, una piccola zona un po’ strana, dove, in mezzo alle case di ringhiera e tra i portoni che si aprono su vecchie corti lombarde tradizionali, spuntano inaspettatamente le vetrate di eleganti gallerie dove sono esposti mobili dal famoso design, come simulacri deserti di interni residenziali emigrati per magia dalle parti più nobili della città borghese.  A solo pochi isolati di distanza, il nuovo sfuma, perdendosi nelle più vaste (insieme a quelle di Sesto) aree di archeologia industriale della città.


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E ancora, sono tornata più volte sulle strade dell’esteso quartiere di Corvetto-Rogoredo, dove vicino allo sfacelo immobiliare di Santa Giulia, si intrecciano più verso il centro, intorno al piazzale, le vie forse più multietniche di Milano con le loro sfilate improvvisate di abbigliamenti esotici e gli angoli lugubri e spesso maleodoranti dove non è difficile immaginare le risse notturne tra bande rivali a dispetto dei coprifuoco del Comune.

Così come un’area “calda” e di nuovo super-multietnica è la zona intorno al Trotter. Come in alcune vie di Corvetto, anche qui il degrado è molto visibile, la forza della legalità sembra affievolita perlomeno in certe vie, dove un’umanità fatta di stranieri giovani e poveri si riversa volentieri nei luoghi pubblici a volte (spesso involontariamente) usurpandoli ai vecchi abitanti, che non di rado sono a loro volta immigrati tempo fa e  anche loro in fondo troppo poveri per spostarsi in altre zone cittadine.

Insomma, girare a piedi per la città è istruttivo e interessante; soprattutto consente di creare delle mappe alternative a quelle topografiche: potremmo chiamarle psicomappe o forse più propriamente mappe esperienziali. È come se la linearità e razionalità della mappa tradizionale prendesse gradatamente corpo attraverso la singolarità dei luoghi e le pratiche delle persone, producendo  rappresentazioni dinamiche, come lo spazio vissuto che compone un territorio.

“Quartieri in Bilico”, ricerca effettuata dal Centro per lo studio della moda e della produzione culturale dell’Università Cattolica.

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