Nei cinema è arrivato il quinto film della saga di Mission Impossible, con protagonista ancora Tom Cruise, diretto stavolta da Christopher McQuarrie. La recensione di EMANUELE RAUCO
La vera missione impossibile per il team di autori e produttori della serie cinematografica ispirata alla serie tv degli anni ’60 è non perdere verve e idee dopo 5 film e 20 di cinema. Con Rogue Nation, quinto prodotto sulle avventure di Ethan Hunt diretto da Christopher McQuarrie (Oscar per la sceneggiatura de I soliti sospetti), dimostrano che la missione è possibile e realizzano uno dei migliori capitoli del franchise.
Stavolta la squadra capitanata da Tom Cruise deve affrontare Il Sindacato, un’organizzazione di ex-agenti segreti da tutto il mondo che ora lavorano come mercenari al soldo di governi e terroristi. Il loro obiettivo è sconfiggere Hunt e screditare agli occhi del mondo la squadra e, fra doppi e tripli giochi, dovranno affidarsi a una seducente agente inglese.
Scritto da McQuarrie con Drew Pearce e prodotto da J. J. Abrams, Rogue Nation usa la trama evidentemente come spunto o pretesto, come spesso nei kolossal d’azione a sfondo spionistico, per scene d’azione di notevole impatto ma anche per qualche sferzata ironica – per non dire riflessione -che colpisce.
Nel descrivere Il Sindacato infatti, versione moderna ma nemmeno troppo di Spectre, Smersh, Thrush e altre sigle criminali dell’immaginario spionistico, McQuarrie si diverte a creare paralleli tra i cattivi e i buoni, servizi segreti che tendono ad auto-distruggersi servendo al crimine numerose occasioni per prosperare, in modo quasi passivo, servendosi letteralmente degli agenti rivali. Ma è un tocco ironico che dà solo un pizzico in più a un film che vive soprattutto di un invidiabile crescendo.
Il film di Christopher McQuarrie parte infatti maluccio, con una sequenza prima dei titoli debole, una sigla televisiva e un avvio raffazzonato e montato male. Poi, con il partire della missione (una magistrale sequenza all’Opera di Vienna), il regista trova il polso e orchestra un intreccio che trova proprio nella regia e nella messinscena i correttivi a una sceneggiatura quasi scadente. Ma in film del genere poco importa, conta il ritmo, la velocità e la grazia d’esecuzione, la fantasia inventiva delle sequenze. E di fronte a quella subacquea – degna dei surreali Bond di Roger Moore – o all’inseguimento motociclistico non si può che restare ammirati.
Rogue Nation, dopo le scariche di adrenalina e di eccessiva complicazione del 3° e soprattutto del 4° film, torna a un’eleganza che rivaleggia con i primi film, diretti non a caso da maestri come De Palma e John Woo, e finalmente affianca a Cruise – oltre i sodali Jeremy Renner, Ving Rhames e Simon Pegg – una seducente amica/nemica, Rebecca Ferguson, femme fatale, complice misteriosa e spina nel fianco tutto in un’unica attrice che spesso mozza il fiato. Chissà se la rivedremo nel 6°: Ethan Hunt tornerà? A occhio, scommetteremmo di sì.
