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Home » BORSA/ Quando gli aumenti di capitale diventano un danno per i risparmiatori

BORSA/ Quando gli aumenti di capitale diventano un danno per i risparmiatori

Gianfranco D'Atri
Pubblicato 26 Giugno 2009
Euro_100_colonneR375_26ott08

Foto Imagoeconomica

Attraverso la “diluizione” del capitale, il piccolo azionista che non sottoscrive l’operazione si ritrova con una valore di Borsa nettamente inferiore

In questo scampolo di primavera, diverse società quotate hanno deciso di avviare degli aumenti di capitale, la cui ragione va ricercata nell’attuale congiuntura economico-finanziaria. Infatti, molte di esse si trovano con bilanci fortemente indebitati i cui attivi sono di incerta consistenza. In molti casi, un’accurata valutazione delle poste richiederebbe una riduzione del capitale sociale, con conseguenti aumenti finalizzati alla copertura delle perdite. Questa semplice procedura creerebbe problemi agli azionisti di controllo e alle banche finanziatrici e, pertanto, non sembra trovare consenso.

 

A noi serve capire in che misura gli azionisti generici, non di controllo o collegati, il cosiddetto parco buoi della borsa, sono tenuti in considerazione. Gli aumenti di capitale sono, per legge, offerti a tutti i soci. Quindi, se l’operazione è conveniente e opportuna per il socio di maggioranza, lo dovrebbe essere anche per il piccolo investitore al quale sono offerti i diritti di opzione.

Ma cosa hanno inventato, allora, i nostri beneamati amministratori di società quotate, assistiti dagli advisor finanziari e dalle banche? La “diluizione” del capitale, ovvero una riduzione virtuale del capitale per mezzo di un aumento consistente. Si tratta di un’operazione configurata come un aumento del capitale contabile, ma il cui risultato tecnico è la riduzione (e persino il quasi azzeramento) del valore patrimoniale esistente pre-aumento. Il principio è quello dell’“annacquamento” del vino: in particolare di quello che sta nelle coppe del piccolo investitore. Dopo essere stata inaugurata nel 2008 da Eurofly, la tecnica è stata utilizzata da SEAT Pagine Gialle (alla grande) e seguita da Pirelli RE e da Tiscali.

Come si fa? Facciamo un esempio scolastico. Supponiamo di deliberare un aumento di capitale, poniamo per un controvalore di 100 milioni di euro, ovvero un importo che consente al socio di maggioranza di mantenere il controllo senza dissanguarsi. Sulla base delle quotazioni correnti, poniamo 1 euro, si potrebbero emettere 100 milioni di azioni a 1 euro per incamerare l’importo desiderato: in tal caso, il possessore ante aumento di un’azione, se decidesse di non sottoscrivere, manterrebbe l’azione con il valore di circa un euro (salvo migliore o peggior andamento borsistico).

Ma se decidiamo di emettere, per lo stesso importo di 100 milioni di euro, un numero elevato di azioni, poniamo 2 miliardi? In tal caso ogni nuova azione dovrà avere un prezzo di emissione di soli 5 centesimi. Tecnicamente è corretto: varia il rapporto di assegnazione (20 nuove azioni per ogni singola azione detenuta, anziché 1 ogni 1). Ma cosa succede invece se, ad esempio, uno dei tanti buoi del parco decide di non sottoscrivere? Allora, la sua vecchia azione, comprata pre-aumento a oltre 1 euro, rimarrà ovviamente unica e sola, simile in tutto e per tutto alle nuove acquisite a 5 centesimi: il suo valore in borsa crollerà drasticamente. E così è stato per Eurofly e SEAT e così sarà per gli imitatori a venire.

A un tale Sig. Michele, detentore di azioni SEAT risparmio, che scrive a Plus24, inserto de Il Sole24 Ore, il giornale risponde che queste operazioni, per quanto corrette, scoraggiano l’investimento in borsa. Il caso delle azioni di risparmio è più complesso e articolato, ma rientra, come abile rifinitura, nel contesto generale descritto. A noi, ora, non interessa il profilo giuridico (del quale comunque dubitiamo) ma quello fiduciario: gli investitori debbono riporre fiducia nel comportamento degli attori economici e nell’attività di controllo delle autorità.

Forse il sig. Michele e gli altri azionisti sono stati vittime – sotto l’occhio poco vigile di CONSOB – di un vero e proprio tiro mancino (dis)informativo: quanti inviti a fare bene i calcoli sono stati trasmessi agli investitori, prima e durante l’aumento di capitale dalla società, dagli intermediari e dalla Borsa? In cosa è consistito il controllo dei prospetti da parte della Consob? E quante lettere (pubblicate o meno) dovranno essere scritte ai quotidiani affinché qualcuno dia un’opportunità di fiducia al Sig. Michele?


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