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Home » Politica » FINE DEL PD/ Sapelli: a Renzi e Calenda manca il cuore di Corbyn e Mélenchon

  • Politica

FINE DEL PD/ Sapelli: a Renzi e Calenda manca il cuore di Corbyn e Mélenchon

Int. Giulio Sapelli
Pubblicato 19 Settembre 2018
Eletti pd imperia Preferenze pd pd

LaPresse

Possono insistere, Renzi, Gentiloni e Calenda, ma il Pd è morto. La classe dirigente del Pci-Ds-Pd ha decretato la propria fine quando ha abbracciato Tony Blair. GIULIO SAPELLI

Possono insistere, Renzi, Gentiloni e Calenda, ma il Pd è morto, dice Giulio Sapelli, economista, fede cattolica e cuore a sinistra. La classe dirigente del Pci-Ds-Pd ha decretato la propria fine quando ha abbracciato Tony Blair. Poi qualcun altro ha finito il lavoro. E così, oggi restano solo i generali senza truppe.


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Professore, quando c’è stato il “default”?

Il default del Pd era già scritto nella Cours d’économie politique di Vilfredo Pareto. Cito a memoria: allorché i capi di partito sono solitari in se stessi, e non parlan più con il popolo o gli organizzatori dei banchetti, da sé soli non fanno che litigare e non pranzano neppure più insieme. 


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Che cosa è accaduto?

E’ accaduto che dietro i generali del Pd non c’è più nessun esercito. Perché Napoleone vinceva sempre? Perché, osservava giustamente Julien Sorel (protagonista de Il rosso e il nero di Stendhal, ndr) ogni soldato aveva idealmente il bastone da maresciallo nel tascapane. Oggi invece i generali del Pd e quel che resta delle truppe si ritrovano solo quando ci sono le elezioni.

Perché il Labour Party non ha avuto questa sorte?

Perché ha abolito quella parte di statuto che separava il partito, il Labour, dalle trade unions. I sindacati hanno di nuovo un peso all’interno del partito, ne determinano la composizione e l’orientamento. Al partito sono tornate ad iscriversi quelle che chiameremmo le persone normali.


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Di chi parliamo esattamente?

Degli artigiani, degli operai, degli impiegati comunali. I maggiorenti del Pd non hanno con loro nemmeno un operaio dell’Ilva. Non hanno più nessuno.

Chi ha abbandonato chi?

Sono stati i dirigenti ad abbandonare i lavoratori. E’ successo quando hanno abbracciato il blairismo, dove la finanza era di sinistra, l’industria era di destra e non c’era più bisogno di avere rapporti con la classe operaia. Ralf Dahrendorf scriveva che non c’è più il conflitto sociale, ma solo il conflitto organizzativo. Intanto la disuguaglianza aumentava. Quanti piccoli imprenditori votavano Pci, non solo in Emilia ma anche in Lombardia?

Qual è la lezione?

Chi fa la politica non sono le caste, come pensano Stella e Rizzo, ma chi detiene l’egemonia culturale. E oggi ad avere l’egemonia è il pensiero ordoliberista. I suoi fautori sono riusciti a convincere anche gli operai che il pareggio di bilancio è il signore assoluto delle nostre vite. Non è vero. Il punto non è avere debito zero, ma che il debito sia solvibile. Conosco un bravissimo ragazzo nero che pulisce i bagni in una palestra. Il debito ci ucciderà tutti, mi ha detto un giorno. Non è vero, gli ho detto io, è una favola che ti hanno raccontato quelli che vengono qui, molti dei quali sono gli stessi che parlano in tv. Che contratto hai? gli ho chiesto. Mi hanno rinnovato per due volte un contratto di tre mesi, fa lui. Sono in regola! insisteva. No, gli dico. Per convincerti che il contratto di tre mesi è buono e che ti deve bastare, ti dicono che a darti più garanzie saremmo oppressi tutti dal debito. Chiaro? L’ordoliberismo è penetrato a tal punto nelle viscere della gente che anche un povero ragazzo che pulisce i gabinetti la pensa esattamente come i ricchi che usano quei gabinetti lasciandoli sporchi. Questo non è mai accaduto nella società.

Non aveva ragione Menenio Agrippa, a dire che patrizi e plebei devono collaborare per il bene dello Stato?

Chi governava Roma sapeva bene di non potersi fidare della plebe. Questo non vuol dire che bisogna fare la rivolta contro le classi dominanti per essere tutti uguali; vuol dire che si può e si deve lottare per avere giustizia. Siamo uguali non perché abbiamo tutti lo stesso, ma perché siamo tutti figli di Dio. 

I leader della sinistra italiana possono ancora salvarsi?

Non credo. Non hanno più rapporti nemmeno con i sindacati, anche se i segretari della Uil sono iscritti al Pd. I sindacati sono in crisi, è vero, ma fanno ancora i contratti, rappresentano ancora i lavoratori. Gli operai dell’Ilva hanno votato seguendo i sindacati. 

Un leader che facesse mea culpa e dicesse la verità, recupererebbe credibilità e consenso?

Un simile leader dovrebbe sorgere spontaneamente, uscire dai “sommovimenti della società”, come dicevano Pareto e Mosca. In Francia c’è un movimento di precari fatto di madri, padri e figli che può paralizzare Parigi. Quando il leader di “France Insoumise”, Mélenchon, ha marciato a Marsiglia, con lui c’erano gli esclusi bianchi, neri e maghrebini, non i fighetti scesi in piazza San Babila a protestare contro i “fascisti” Salvini e Orbán. 

Il Pd è in crisi, ma restano i suoi potentati locali. Perché?

Perché sono il centro del clientelismo politico, che prima era più solido ma adesso è più difficile da alimentare dato che ci sono meno risorse da spendere. Al politico non resta che esercitare un potere di prossimità: dà un posto all’amico dell’amico, nomina il capo dei vigili all’ufficio legislativo di Palazzo Chigi, ma non chiama più il povero alla sua tavola, ammesso che riesca a combinare una cena. Il rapporto con i sostenitori è sempre più anagrafico e sempre meno affettivo. Non c’è più cuore.

(Federico Ferraù)

Tags: Pd

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