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Home » Cultura » Letture e Recensioni » LETTURE/ Addio mia bella addio: quei “padri” che abbiamo dimenticato

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  • Cultura

LETTURE/ Addio mia bella addio: quei “padri” che abbiamo dimenticato

Alessandro Rivali
Pubblicato 9 Maggio 2020
Carlo Bossoli, La battaglia di Solferino (1859), particolare

Carlo Bossoli, La battaglia di Solferino (1859), particolare

Nel suo ultimo lavoro Alberto Leoni ripercorre i luoghi cruciali del Risorgimento: cause, movimenti, aneliti ideali di chi ha fatto l’Italia. Anche da sconfitto

La storia militare in Italia non gode di troppa simpatia. Forse la si scambia per una passione da addetti ai lavori, che si entusiasmano per complicate mappe piene di soldatini e bandierine colorate. O, molto peggio, si confondono i piani, facendo passare uno storico militare per un militarista. Ovviamente non è così, e l’atteggiamento sta cambiando, ma la strada è ancora lunga. Nei Paesi anglosassoni è tutta un’altra storia. Le vicende degli uomini in battaglia conquistano il grande pubblico, anche perché spesso diventano ricognizioni sulle ineludibili questioni del cuore degli uomini: il coraggio, la paura, l’orizzonte di senso che si nasconde magari dietro un gesto estremo.


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In proposito, ci sono opere che hanno fatto scuola. Penso, tra gli innumerevoli esempi, al Volto della battaglia (Il Saggiatore) di John Keegan (che studia tre scontri “esemplari” come Azincourt, Waterloo e la battaglia sulla Somme del 1° luglio del 1916), oppure alla splendida ricognizione di Paul Fussell nella Grande guerra e la memoria moderna (Il Mulino).


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Ecco, proprio in questa scia si colloca Addio mia bella addio. Battaglie & eroi (sconfitti) del Risorgimento (Ares, 2020), il nuovo libro di Alberto Leoni, saggista con una particolare predilezione per la storia militare; suoi, tra gli altri, La croce e la mezzaluna (2007), L’Europa prima delle Crociate (2010), Il paradiso devastato. Storia militare della campagna d’Italia (2012), Storia delle guerre di religione (2018).

Leoni ha trascorso anni ripercorrendo passo dopo passo i luoghi “cruciali” del Risorgimento: da Magenta a Custoza, dalle strade delle Cinque Giornate di Milano al colle di Solferino. Certo, il dato di partenza per la sua lettura è cosa accadde (forze in campo, schieramenti, armi, tattiche), ma il suo lungo viaggio è orientato soprattutto a cercare il perché di quegli eventi. E le motivazioni dei tanti combattenti che in quegli scontri persero la vita.


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La storia narrata da Leoni è uno zoom concentrato sui dettagli, che si accendono e lasciano intuire uno scenario più grande. Per esempio, ci fa scoprire come, a distanza di tanti anni, siano ancora visibili i segni degli scontri (le palle di cannone conficcate nella cascina Contracania a San Martino o la facciata sbrecciata dai proiettili di Villa Pignatti a Custoza). Ci fa entrare nel dolore di quei giorni, riportando strazianti lettere d’addio prima delle battaglie o descrivendo gli ossari nei teatri bellici (è un’esperienza molto forte visitarli, in alcuni casi si riconosce la causa delle morti guardando i teschi: qualcuno ha il cerchio esatto di un colpo di fucile, qualcun altro la letale virgola di un colpo di sciabola, un altro è massacrato da un colpo di mitraglia ad alzo zero…). 

Naturalmente, Leoni non tralascia il volto crudissimo della battaglia: quel volto che spinse Henry Dunant a fondare la Croce Rossa dopo la mattanza di Solferino, il 24 giugno 1859 (si può vedere il Museo della Croce Rossa a Castiglione delle Stiviere, ma sono gioielli di testimonianza anche quelli di San Martino e Solferino e l’Ossario di Custoza con un piccolo ma affascinante Museo multimediale). E per salire sulla “macchina del tempo” resta poi fondamentale lo stesso memoir di Dunant Un ricordo di Solferino.

Nella sua disamina Leoni passa dal dettaglio a considerazioni complessive sul Risorgimento: un periodo complesso che ha conosciuto gli eccessi della retorica, come quelli della controretorica. Nelle “pagelle” di Leoni, Mazzini esce molto malconcio, così come i quadri dei generali piemontesi (è impietosa la disamina dei loro abbagli, ma Leoni indica anche figure da rivalutare come il generale Govone). Della controversa figura di Garibaldi, Leoni elogia l’insuperabile abilità tattica (splendido il capitolo dedicato alla guerriglia intorno a Varese, nella campagna dal 5 al 26 agosto 1848).

Un aspetto particolarmente suggestivo del libro è di dare voce agli sconfitti, ai cancellati dalla storia: è il caso di chi militò nell’esercito pontificio, che, a dispetto della vulgata, prima di Porta Pia seppe combattere (e vincere) in modo brillante (per approfondire c’è il sorprendente Storia della rivoluzione italiana dello zuavo pontificio Patrick O’Clery, libro tradotto in Italia dallo stesso Leoni).

Al termine del racconto Leoni elogia il sacrificio di tanti uomini (in particolare dei volontari, molto numerosi nella Prima guerra d’Indipendenza): “Questi eroi sconfitti, che abbiamo riscoperto in queste pagine, di cui abbiamo quasi ascoltato il respiro affannoso durante la corsa di un attacco alla baionetta, che abbiamo risentito nostri nelle lettere e nei discorsi, sono il patrimonio morale di tutta la nazione. Senza di loro, senza il loro ricordo e il loro esempio di uomini che avrebbero potuto vivere una vita piena di successi e di agi e si sono invece giocati tutto per la libertà di una nazione, saremo tutti più poveri… La rinascita di una nazione dipende da ciascuno e da tutti…”.

È un augurio particolarmente carico di senso oggi, mentre cerchiamo di uscire dalle macerie della pandemia.


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