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Home » Esteri » GUERRA ARMENIA AZERBAIJAN/ “Così la mediazione russa può evitare i missili”

  • Esteri

GUERRA ARMENIA AZERBAIJAN/ “Così la mediazione russa può evitare i missili”

Int. Massimo Introvigne
Pubblicato 19 Luglio 2020 - Aggiornato alle ore 20:55
(LaPresse)

(LaPresse)

Gli scontri al confine tra gli eserciti di Armenia e Azerbaijan hanno causato 16 morti. La partita è anche russo-turca. Ma difficilmente ci sarà una escalation

Probabilmente nessuno o quasi nessuno sa cosa sia e dove sia la Repubblica del Nagorno-Karabakh. Come spiega Massimo Introvigne, studioso delle religioni, filosofo e sociologo, “è uno dei lasciti del crollo dell’Unione Sovietica, quando si decise che le nuove repubbliche nascenti avrebbero mantenuto i confini che avevano. Così facendo, il Nagorno-Karabakh, di etnia e storia armena, si viene a trovare all’interno della Repubblica dell’Azerbaijan, di etnia turca, confinante con l’Armenia, Paese cristiano ortodosso che si è legato con la nuova Russia. Un conflitto nel 1994 ha portato le truppe armene a occupare il Nagorno-Karabakh e l’anno dopo si sono aperti dei negoziati internazionali per trovare una soluzione, ma ancora oggi non è stato raggiunto alcun risultato. Tutta questa tensione sta riesplodendo in questi giorni con alcuni scontri al confine tra Armenia e Azerbaijan, con la minaccia di lanciare missili su una centrale nucleare armena”. Una situazione che fa pensare a diversi scenari, ad esempio una delle solite guerre per interposta procura questa volta tra turchi e russi, visto lo scontro già in atto in Libia. 


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C’è grande confusione su quanto sta accadendo tra Armenia e Azerbaijan. Perché?

È una storia molto antica, una delle cambiali non pagate alla fine dell’Urss. Il Nagorno-Karabakh è una zona a maggioranza armena che però era stata assegnata, con gli strani giochi di divisione delle repubbliche sovietiche, all’Azerbaijan. Nel 1994 c’è stata una guerra che ha portato le truppe armene a controllare il Nagorno-Karabakh. L’anno dopo si è costituito il gruppo di Minsk, di cui fanno parte anche gli Usa, che avrebbe dovuto trovare una soluzione negoziale che invece non è mai stata individuata e sono tre anni che il gruppo non si riunisce più.


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C’è il rischio di una escalation?

Si ipotizza un attacco missilistico dell’Azerbaijan con obiettivo una centrale nucleare armena, ma ritengo che non si arriverà a tanto, anche perché il fall-out nucleare colpirebbe anche lo stesso Azerbaijan. Credo che questa minaccia sia piuttosto un tentativo di rimettere in moto il dialogo internazionale.

Che possibilità c’è che Russia e Turchia siano i veri attori di quanto sta succedendo?

È certamente vero che queste dichiarazioni di minaccia non sarebbero state fatte senza l’avallo della Turchia per ragioni che magari c’entrano con la Libia, ma si tratta in realtà di una vicenda che riguarda Armenia e Azerbaijan e che non finirà mai, perché le reciproche rivendicazioni sono inconciliabili.


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La protesta russa sulla trasformazione in Moschea di Santa Sofia – che ricordiamolo era una basilica ortodossa – e le tensioni tra Mosca e Ankara quanto contano?

Allargando la visuale su una carta geografica sicuramente possiamo vedere le tensioni fra Russia e Turchia, e Armenia e Azerbaijan che si consultano con i loro alleati strategici, ma penso che l’aspetto locale sia prevalente ed è quello di rimettere in moto trattative che si sono bloccate.

La Russia però non rimane indifferente al conflitto in una regione ex-sovietica così strategica; il portavoce di Putin, Dmitrij Peskov, ha già dichiarato che la Mosca è pronta a organizzare una mediazione tra i due contendenti.

Tutto vero, ma è difficile che l’azione di Mosca possa concretizzarsi nel Nagorno-Karabakh. Tra l’altro la prima mossa è stata fatta non dagli armeni, ma dagli azeri, legati quindi ai turchi, con un portavoce della difesa che minaccia sconquassi politici. A me pare che la disperazione degli azeri dopo 15 anni dall’inizio del processo di Minsk senza aver ottenuto nulla sia più importante degli scenari macropolitici.


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