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Home » Esteri » PESCATORI LIBERATI/ “Ma Haftar umilia l’Italia e cambia la nostra politica in Libia”

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PESCATORI LIBERATI/ “Ma Haftar umilia l’Italia e cambia la nostra politica in Libia”

Int. Paolo Quercia
Pubblicato 18 Dicembre 2020 - Aggiornato alle ore 16:25
Conte e Di Maio davanti ad Haftar, la mattina del 17 dic. 2020 (Foto Almarsad - The Libyan News Observatory)

Conte e Di Maio davanti ad Haftar, la mattina del 17 dic. 2020 (Foto Almarsad - The Libyan News Observatory)

I pescatori sono stati liberati. L'Italia ha pagato un alto prezzo politico: Haftar ha ottenuto che fosse Conte ad andarli a prendere

I pescatori di Mazara trattenuti in ostaggio a Bengasi da Khalifa Haftar, leader della Cirenaica, sono stati liberati ieri dopo 108 giorni e hanno ripreso il mare diretti in Sicilia. Una buona notizia per loro e le loro famiglie. Molto meno per la nostra politica e per il ruolo dell’Italia. Di Maio e Mattarella ringraziano la nostra intelligence, ma resta il fatto, senza precedenti, di un presidente del Consiglio italiano che per la prima volta negozia la liberazione di ostaggi con una entità politica non riconosciuta. È la prova provata che l’Italia non conta più nulla, dice al Sussidiario Paolo Quercia, analista di politica estera e direttore del Cenass. “Haftar ha chiesto un prezzo politico e l’ha ottenuto: l’umiliazione dell’Italia”.


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Un dettaglio non marginale. C’è motivo di ritenere che Serraj – che lunedì scorso è stato visto nella hall di un hotel di Roma – fosse al corrente dell’operazione. Quella del governo “è una scelta che modifica la nostra politica estera verso la Libia” osserva Quercia.

Come commenta la liberazione dei pescatori?


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Personalmente sono felice e credo che la nostra intelligence abbia fatto un buon lavoro. Ma le modalità con cui questa liberazione è stata ottenuta sono molto atipiche.

Dove sta l’anomalia?

Di solito, l’abbiamo purtroppo visto molte volte negli ultimi anni, i ministri degli Esteri ed i primi ministri attendono gli ostaggi a Ciampino, sotto la scaletta del volo di Stato. Questa volta sono andati ad incontrare di persona il mandante della cattura, un generale leader politico internazionalmente non riconosciuto.

A chi spettava questo compito?

Questo lavoro lo devono fare i servizi con una copertura politica da Roma. E se viene chiesta una copertura politica nelle trattative, deve bastare un sottosegretario. Perché più alzi il livello istituzionale del rapporto e meno conti.


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Nel caso della Libia e di Haftar?

Poteva bastare anche un ambasciatore dedicato a queste trattative. In casi come questo emerge l’errore di non aver nominato un inviato speciale per la Libia. 

Conte e Di Maio si sono entrambi recati in Libia per ottenere il rilascio. Questo fatto, senza precedenti, autorizza a pensare che senza la presenza di Conte la liberazione non sarebbe avvenuta?

Evidentemente Haftar ha chiesto ed ottenuto un prezzo politico. Ha sparato alto, come faceva Gheddafi. Ed ha ottenuto, come concedeva Berlusconi. È chiaro che in un gioco al rialzo di questo tipo, il prezzo politico non poteva essere rappresentato dal solo Di Maio. Alla fine italiani e libici in qualche modo si comprendono e si capiscono. 

Torniamo sulle modalità del rilascio. Che cosa comportano sul piano politico?

Il rilascio è avvenuto in modo assolutamente atipico. Capisco la necessità di un Haftar in difficoltà di cercare riconoscimento internazionale e consenso interno umiliando l’Italia. Lo faceva anche Gheddafi, ma era Gheddafi. Che il leader di un’entità non riconosciuta tratti direttamente con il nostro primo ministro ci declassa politicamente. Spero solo che la decisione sia stata ben ponderata.

Perché dice questo?

Perché alla fine è una scelta che modifica la nostra politica estera verso la Libia. Ma sopratutto spero davvero che sia una cosa italo-libica e non vi sia il ruolo di qualche altro Paese, ad esempio una via di uscita suggerita ad Haftar da Parigi…

Serraj lunedì 14 dicembre era nella hall di un noto hotel di Roma. Questo che cosa le suggerisce rispetto a quanto avvenuto?

Questo lo apprendo da lei. Avevo letto della visita del ministro della Difesa di Tripoli a Roma una settimana fa. Mi chiedo a questo punto se la cosa era stata trattata anche con Serraj e se abbiamo avuto il via libera da lui. Onestamente non è facile raccapezzarsi in queste oscillazioni. Un ruolo di mediatore tra Bengasi e Tripoli si può giocare, ma allora va fatto con maggiore determinazione e costanza e non perché ci tengono i pescatori in galera. 

Le modalità di questa liberazione che cosa comportano sul piano della nostra politica estera?

Spero nulla, perché le politiche estere si devono costruire su interessi permanenti di lungo periodo e non su fatti episodici come questi. A questo punto è meglio pagare i riscatti che lasciarsi condizionare in una funzione vitale come quella della politica estera, sopratutto in un’area così vicina e sensibile come quella libica. 

(Federico Ferraù)


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