Fabio Cannavaro lascia la Cina e torna in Italia, provato dal lockdown anti covid, ben sei diverse “bolle” nel giro di due anni di cui una da 72 giorni
A convincerlo a fare ritorno a casa sono stati i troppi lockdown rigidissimi negli ultimi 24 mesi: «Sei bolle in due anni, la più lunga di 72 giorni. Quella più corta è durata un mese. Lunghi periodi, in cui all’inizio provi ad adattarti, comprendi che è l’unico sistema per fronteggiare la pandemia. Poi però sei da solo, lavori e basta. Che va anche bene, ma ho perso troppe cose, non ho seguito la crescita dei miei figli. Li ho visti due volte. Natale senza gli affetti, un banale compleanno in videochiamata compatibilmente con il fuso orario. È diventato pesante, troppo. E quindi un mese fa ho comunicato alla società, il Guangzhou, che non sarei rientrato. Mi hanno chiesto di aspettare, ripensarci. Anche lo scorso anno avevo chiesto di risolvere il contratto».
CANNAVARO: “UNA TERZA QUARANTENA NON L’AVREI RETTA”
E ancora: «Sono stato bene, ma la terza quarantena non l’avrei sopportata». Quindi ha proseguito, parlando della sua esperienza calcistica: «Purtroppo la sensazione di vivere in una prigione, sia pur dorata, ha fatto la differenza. Non era più tollerabile. Adesso per rientrare sarei dovuto stare quindici giorni in albergo da solo, poi sette a casa senza poter uscire e comunicando la temperatura tutti i giorni. Con la prospettiva di non poter vedere più la mia famiglia per chissà quanto altro tempo».
E adesso cosa vuole fare Cannavaro: «Voglio allenare, mettere a frutto l’esperienza fatta». Ovviamente l’accostamento al Napoli diventa scontato: «La panchina è già occupata? E anche bene perché Spalletti sta andando alla grande. Però sognare non fa male».
