Il regime degli ayatollah in Iran ha messo in cima alla lista dei condannati chi fa il rapper, come Mohsen Shekar: la musica fa paura ai regimi
Il Grande Satana, come il regime degli ayatollah chiama da sempre gli Stati Uniti, l’Iran ce lo ha in casa. Impossibile da fermare ai controlli dei confini, come sempre lo è la musica, si è intrufolato nel paese e ha lanciato la sfida. Quella che è la vocazione stessa della musica: la libertà.
E’ un paradosso, come sempre succede ai regimi dittatoriali: una musica americana nelle sue radici è diventata popolare anzi popolarissima in un paese di tutt’altra tradizione culturale. E’ l’hip-hop, “musica contro” per sua natura, nata nei ghetti afro americani anche se oggi ha ceduto alla mercificazione e alla massificazione. La sua stessa natura, semplice, diretta, improntata tutta sull’uso della voce e qualche campionatura ritmica, ne ha reso possibile l’espansione. Non c’è bisogno infatti di grandi capacità tecniche e conoscenza delle sette note, come per un gruppo rock che abbisogna di chitarre, basso, batteria e tastiere.
Il rap è sempre stato un linguaggio immediato, diretto e trasversale per dare voce al sentimento popolare, quello della strada, degli ultimi, degli oppressi.
Ed è per questo motivo, non casuale, che il primo condannato a morte (per impiccagione) tra le migliaia di manifestanti arrestati sia stato uno di loro, un rapper. Si chiamava Mohsen Shekar, era originario del Kurdistan, era curdo, popolo da sempre oppresso e perseguitato, aveva 27 anni. Il capo di imputazione per il quale è stato condannato a morte è quello di “Guerra contro Dio”, il massimo della colpa in un paese retto da una dittatura religiosa. Non sarà il solo, altri rapper sono stati condannati a morte: Saman Yasin e Behrard Ali Konari saranno i prossimi. E’ già successo in Myanmar, dove è in atto la medesima repressione questa volta da parte di un regime militare: condannare a morte i rapper.
Mentre i rapper di casa nostra o cosiddetti tali, sfoggiano Rolex d’oro, scrivono versi che parlano di ragazzine con cui fare sesso, girano su macchine lussuose, in Iran i rapper muoiono perché chiedono libertà. Magari sarebbe il caso di dare loro un Grammy, l’Oscar per la musica, perché meritano di essere ricordati. E che qualche Fedez o J-ax dedichi loro una canzone.
