Una ragazza coperta di cioccolato è stata "servita" in un hotel in Sardegna durante un buffet. Spesso con l'accusa di maschilismo occorre andarci piano
Time flights. Il tempo vola, dalla Sardegna con un bagaglio di abitudini.
Soli tre anni fa si parlava di cospargersi ovunque di amuchina; ora sulla bocca di tutti – oltre a non esserci più la mascherina – passa la notizia di un corpo di donna posizionato a bordo piscina e cosparso di cioccolato fondente.
Del resto è noto: col caldo torrido il virus del Covid si dilegua, lasciando – in questo caso – il posto a quello della lussuria.
Il caso è pubblico: una ragazza in bikini e cosparsa di colata marrone dolce è stata inserita nel menu dessert di un famoso villaggio vacanze in Gallura, per la gioia di maschi golosi attratti dall’abbronzatura color cacao.
A denunciare il villaggio colto con le mani nella … cioccolata è stato un manager in vacanza. Anzi sua figlia quattordicenne; dato non marginale (caso che ricorda la recente accusa per voce di una altra teen-ager alla Ferragni che si era selfata in déshabillé), quasi che segnalazioni di un certo tipo debbano arrivare da una giovane e candida pulzella, per non passare da un pulpito adulto che le renderebbero moraliste e bigotte.
L’episodio è subito rimbalzato sui media come l’ennesimo caso maschilista di strumentalizzazione del corpo femminile. Ora, premesso che secondo me le donne hanno molta più pazienza del cosiddetto sesso forte e quindi non mi stupisce che la scelta del protagonista non sia caduta su un uomo, c’è da dire che la ragazza incriminata non si è finora dissociata dell’accaduto; il che suggerisce che forse – in cambio della colata in stile monte Etna a Ferragosto – aveva stipulato un accordo con il tour operator. Come dire, dietro quella cioccolata ci sono valori nutrizionali, e poi valori morali (quali?…) di un capo-villaggio, ma non solo i suoi.
Lo sfruttamento è una cosa (deplorevole), il consenso un’altra.
Di certo, se avessero fatto posare me per un paio d’ore immobile, non avrei avuto problemi: passo tanti di quei minuti ogni giorno ad aspettare mio marito che potrebbero colarmi addosso anche del tungsteno, metallo che per scendere richiede “solo” il tempo di raggiungere i tremilacinquecento gradi.
Venendo al positivo, mi permetto di fare osservare a chi ha avuto l’intraprendenza dell’evento che avrebbe potuto usare una piccola astuzia e forse farla franca con poco. Sarebbe bastato aggiungere un po’ di colorante rosa e voilà: il cioccolato Barbie avrebbe subito evocato quel retrogusto di matriarcato da blandire le grida allo scandalo sessista, chissà.
Soli tre anni fa si parlava di cospargersi ovunque di amuchina; ora sulla bocca di tutti – oltre a non esserci più la mascherina – passa la notizia di un corpo di donna posizionato a bordo piscina e cosparso di cioccolato fondente.
Del resto è noto: col caldo torrido il virus del Covid si dilegua, lasciando – in questo caso – il posto a quello della lussuria.
Il caso è pubblico: una ragazza in bikini e cosparsa di colata marrone dolce è stata inserita nel menu dessert di un famoso villaggio vacanze in Gallura, per la gioia di maschi golosi attratti dall’abbronzatura color cacao.
A denunciare il villaggio colto con le mani nella … cioccolata è stato un manager in vacanza. Anzi sua figlia quattordicenne; dato non marginale (caso che ricorda la recente accusa per voce di una altra teen-ager alla Ferragni che si era selfata in déshabillé), quasi che segnalazioni di un certo tipo debbano arrivare da una giovane e candida pulzella, per non passare da un pulpito adulto che le renderebbero moraliste e bigotte.
L’episodio è subito rimbalzato sui media come l’ennesimo caso maschilista di strumentalizzazione del corpo femminile. Ora, premesso che secondo me le donne hanno molta più pazienza del cosiddetto sesso forte e quindi non mi stupisce che la scelta del protagonista non sia caduta su un uomo, c’è da dire che la ragazza incriminata non si è finora dissociata dell’accaduto; il che suggerisce che forse – in cambio della colata in stile monte Etna a Ferragosto – aveva stipulato un accordo con il tour operator. Come dire, dietro quella cioccolata ci sono valori nutrizionali, e poi valori morali (quali?…) di un capo-villaggio, ma non solo i suoi.
Lo sfruttamento è una cosa (deplorevole), il consenso un’altra.
Di certo, se avessero fatto posare me per un paio d’ore immobile, non avrei avuto problemi: passo tanti di quei minuti ogni giorno ad aspettare mio marito che potrebbero colarmi addosso anche del tungsteno, metallo che per scendere richiede “solo” il tempo di raggiungere i tremilacinquecento gradi.
Venendo al positivo, mi permetto di fare osservare a chi ha avuto l’intraprendenza dell’evento che avrebbe potuto usare una piccola astuzia e forse farla franca con poco. Sarebbe bastato aggiungere un po’ di colorante rosa e voilà: il cioccolato Barbie avrebbe subito evocato quel retrogusto di matriarcato da blandire le grida allo scandalo sessista, chissà.
Altra certezza, i tempi son cambiati e gli uomini con loro. Una volta si ricoprivano le donne di gioielli, oggi lo chef turco Salt Bae riveste la carne d’oro; qui e oggi da noi si avvolge la donna nel fondente svizzero.
Mi auguro che non capiti più. Difendiamo le donne e l’economia. Fosse stata almeno Nutella (che con lo spiedino di frutta è la morte sua).
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