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Home » Esteri » Medio Oriente » HAMAS-ISRAELE/ “Pace impossibile senza perdono, serve un miracolo”

  • Medio Oriente
  • Esteri

HAMAS-ISRAELE/ “Pace impossibile senza perdono, serve un miracolo”

Int. José Miguel García
Pubblicato 21 Ottobre 2023
Artiglieria israeliana (LaPresse)

Artiglieria israeliana (LaPresse)

Senza perdono non può esserci pace. Ma il concetto di perdono è propriamente cristiano, non ebraico né musulmano. Serve un miracolo

Senza perdono non può esserci pace, spiega José Miguel García, teologo e biblista. “E il concetto di perdono è propriamente cristiano”. Non musulmano, né ebraico. Per questo è solo da un miracolo che può venire la pace tra israeliani e palestinesi. Ma i miracoli non sono in mano nostra. L’unica cosa da fare sarebbe aprire i cuori, domandando che possano avvenire. Ci sono esperienze di convivenza tra ebrei e palestinesi, ma sono scomodi, perché escono dagli schemi e dalle convenienze dell’odio reciproco.


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García ha studiato alla Scuola biblica di Gerusalemme ed è stato per anni in Terra Santa.

Da un lato i terroristi di Hamas, dall’altro la destra messianica israeliana, per la quale il possesso della terra è irrinunciabile. Non sembra facile uscire da questa contrapposizione radicale.

Preferisco non parlare di destra messianica, perché risulta ambiguo, ma di sionismo, che si identifica con il diritto di possedere la terra di quella regione perché appartiene al popolo di Israele. Moto governi hanno favorito il sionismo, e gli insediamenti in Cisgiordania ne sono la dimostrazione. Hamas è un gruppo fondamentalista e usa la violenza per raggiungere il suo scopo, che non è solo quello di arrivare alla costituzione di uno Stato palestinese indipendente, ma anche quello, ricordiamolo, di distruggere lo Stato ebraico. Sono due posizioni inconciliabili.


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Ma da parte di Israele non si fanno dichiarazioni così radicali. 

È vero, però il modus operandi è quello di conquistare il terreno abitato dai palestinesi. Tutta la dinamica della divisione del territorio dice bene qual è il progetto di Israele.

Lei è stato per anni a studiare e insegnare in Terra santa. Che spiegazioni danno a se stessi palestinesi e israeliani dell’esistenza dell’altro?

Occorre distinguere partiti politici e governi da una parte e popoli dall’altra. Tutto questo odio e questa sete di vendetta vengono alimentati soprattutto dal potere, cioè da partiti e governi, che hanno tanti mezzi per essere persuasivi e influenzare i popoli. Però va detto che ci sono anche esperienze positive di convivenza, come la storia, vera, delle famiglie palestinesi ed ebree raccontata da Colum McCann in Apeirogon. È solo un esempio, se ne potrebbero fare altri. Purtroppo sono esperienze che non vengono favorite dai governi.


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C’è una relazione tra la guerra perpetua alla quale abbiamo assistito fino ad oggi e la nozione biblica di perdono?

Sì, perché né nell’islam, né nell’ebraismo c’è un concetto chiaro di perdono. C’è piuttosto un concetto di giustizia ispirato alla legge del taglione: l’uomo fa giustizia rispondendo alla violenza e all’aggressione con violenza e aggressione. Il concetto di perdono è propriamente cristiano, perché Dio stesso si è manifestato come perdono. C’è una preghiera della liturgia romana che comincia così: “O Dio, che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono…”. Non nella distruzione o nell’annichilimento dell’altro, ma proprio nel perdono.

Dov’è finita la lungimiranza politica che portò Yitzhak Rabin a firmare gli accordi di Oslo?

Quegli accordi vennero rifiutati quasi subito dal governo palestinese e Rabin fu ammazzato (il 4 novembre 1995, nda) da un ebreo estremista. Anche l’attuale primo ministro Netanyahu era contrario agli accordi. Dunque è impensabile sperare in una loro ripresa da parte sua o addirittura di Hamas. Quello che subito apparve chiaro era che si voleva con la forza, cioè facendo la guerra.

Che cosa impedisce alla riconciliazione di non essere un’utopia?

La situazione attuale è quasi favorita dalla storia della presenza di Israele in quella regione, parecchie guerre sono state combattute tra arabi ed ebrei e questo ha determinato una sfiducia crescente tra i due popoli. Servirebbe un miracolo.

I miracoli però non sono in nostro potere.

No, infatti. Ciò che è in nostro potere è collaborare con gli altri. Ma questo richiede di aprirsi a una dimensione religiosa vera. Si continua a dire che le radici di questa guerra sono anche religiose; a me sembrano dominanti gli interessi politici o ideologici.

La tragedia in corso è stata un imprevisto?

No. Come dice padre Romanelli (parroco a Gaza, nda) tutto quello che sta succedendo adesso si percepiva nell’aria molto prima. Fin dal maggio scorso si era capito che poteva esserci una iniziativa improvvisa e brutale da parte di Hamas.

Cosa dobbiamo augurarci?

Dobbiamo sperare che Israele non invada la Striscia di Gaza. Sarebbe un massacro.

(Federico Ferraù)

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