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Home » Educazione » Scuole Superiori » SCUOLA/ Gita scolastica, quando gli alunni “terribili” diventano un alibi per rinunciare

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SCUOLA/ Gita scolastica, quando gli alunni “terribili” diventano un alibi per rinunciare

Patrizia Marchegiani
Pubblicato 21 Marzo 2024
(Ansa)

(Ansa)

Scuola vuol dire anche gita scolastica. E discussioni nei consigli di classe. Come far sì che sia un momento di formazione vera?

Primavera, tempo di gite scolastiche. E tempo pure di discussioni nei vari consigli di classe: che si fa con quell’alunno zeppo di note e sospeso più volte? Gita sì o gita no? Gita per tutti? Gita per alcuni? Gita premio? Gita punizione? A mio avviso si danno almeno due casi (oltre a un terzo che però probabilmente riguarda altro).


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Primo caso. La gita scolastica è anzitutto “occasione di divertimento e svago” (certo con qualche inevitabile appiccicatura di visita guidata a qualcosa: museo, mostra, chiesa, piazza o palazzo che sia). Allora, sì, può forse avere un qualche senso brandirla come “premio” o “punizione” (parola quest’ultima che, comunque, a me suona sempre un po’ stonata in ambito educativo, sempre vagamente imparentata con quella di “rivalsa” o “vendetta”, mentre credo più corretto – e anche più funzionale – parlare eventualmente di “conseguenza”: rompi una cosa? La ripari oppure la riacquisti).


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Secondo caso. La gita è essenzialmente “gita di istruzione e formazione”, ha obiettivi didattici ed educativi ben chiari e definiti. Niente è lasciato al caso, la si prepara con estrema cura insieme ai colleghi e soprattutto, in classe, ai ragazzi; si studia in anticipo tutto quel che si andrà a visitare, lo si collega con i contenuti affrontati a scuola durante l’anno scolastico; si condividono regole ben precise che tutti si impegneranno a rispettare e poi, dal momento in cui i ragazzi mettono piede nel pullman fino al momento in cui tornati a casa lo rimettono a terra, tutto e ogni cosa, fino al più piccolo particolare (la musica da ascoltare in pullman, l’uso del cellulare…) è programmato, riflettuto prima e soprattutto “finalizzato” (quanti dei famosi obiettivi di educazione civica collegiali, peraltro, si possono programmare e condividere insieme in queste occasioni!).


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Ho partecipato ad alcune gite concepite e strutturate in questo modo: sono esperienze molto belle e di crescita per tutti, alunni e insegnanti, ma impegnano e stancano tantissimo: sono sempre tornata a casa molto soddisfatta …e stremata.

Gite così sono un momento didattico e formativo molto forte che, proprio per questo, assolutamente non può essere negato proprio a chi ne avrebbe maggiormente bisogno e ne beneficerebbe maggiormente.

Terzo caso. Gli insegnanti condividono la seconda posizione, ma non se la sentono di prendersi la responsabilità di quell’alunno o di quegli alunni particolarmente vivaci o indisciplinati, perché ne temono l’imprevedibilità e l’ingestibilità. Si capisce. Legittimo. D’altronde, se quei ragazzi non sono contenibili in classe, è comprensibile che se ne preveda e paventi l’incontenibilità fuori, in gita! Ed è altrettanto comprensibile che non tutti se la sentano di rischiare. Questo, però, credo sia un altro problema, molto più ampio, di cui la gita è solo una minima espressione, e che riguarda la capacità di gestione della classe. Perché – è sotto gli occhi di tutti – pure quegli alunni lì, quelli “terribili”, quelli con la sfilza di note e sanzioni, si comportano in modo completamente diverso alla presenza di quello o di quell’altro insegnante.

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