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Home » Politica » ALMASRI/ E Corte dell’Aja: 6 giorni, un errore e 3 domande politiche che attendono risposta

  • Politica
  • Esteri

ALMASRI/ E Corte dell’Aja: 6 giorni, un errore e 3 domande politiche che attendono risposta

Paolo Torricella
Pubblicato 31 Gennaio 2025
Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, tra Matteo Piantedosi, ministro dell'Interno, e Antonio Tajani, ministro degli Esteri (Ansa)

Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, tra Matteo Piantedosi, ministro dell'Interno, e Antonio Tajani, ministro degli Esteri (Ansa)

Il mandato di arresto di Almasri emesso dalla CPI è stato corretto sei giorni dopo. Un errore che è tornato utile a qualcuno

In una fase in cui il multilateralismo internazionale è in profonda crisi, poche istituzioni restano in vita come un retaggio dell’antico sogno della globalizzazione dei diritti. La Corte penale internazionale (CPI) è uno di questi ed ha una sua evocativa forza come espressione della volontà dei Paesi aderenti di sottoporsi al giudizio di quest’organismo laddove si presume vengano compiuti crimini estremamente gravi. Il punto è che rischia di diventare uno strumento di confusione enorme in un panorama di grande difficoltà e rischia anche di diventare strumento, a sua insaputa, per affrontare in maniera collaterale problemi di grande portata. Leggendo il mandato di arresto per il presunto torturatore libico Almasri si scopre che quel mandato era stato già emesso, con il voto contrario di una giudice messicana, in data 18 gennaio 2025 ma viziato da qualche errore formale che al momento non è dato conoscere. Lo stesso mandato è stato poi riemesso il giorno 25.


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La cosa che fa riflettere è che un organismo così importante possa commettere un errore nell’emettere un mandato di cattura e soprattutto che per correggerlo impieghi più di una settimana. Il fatto è riportato in maniera molto precisa nel documento pubblicato dalla Corte ed è pertanto un elemento non dubitabile. Come chi sa chi è pratico di legge e procure, ma anche che è appassionato di legal thriller, la tempestività di un arresto è tutto ed un errore formale in un mandato è qualcosa di imperdonabile. Si rischia che un criminale scappi perché manca un foglio, o è saltata una virgola, provocando la più profonda delle frustrazioni, perché chi avrebbe dovuto operare in maniera corretta non l’ha fatto. È altrettanto grave che quell’errore venga rilevato e corretto ad una settimana di distanza, quando la sua efficacia rischia di essere estremamente compromessa.


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Ora, nel caso in questione, la già pessima figura della Corte, che testimonia una sua profonda inefficienza che essa stessa denuncia nei propri atti, si intreccia con un particolare non secondario. La settimana prima del 25 gennaio, data in cui sono accaduti i famosi fatti oggetto dell’avviso di indagine spedito martedì 28 gennaio a mezzo governo Meloni, il torturatore libico era in un altro Paese, la Germania, e guarda caso l’errore è stato corretto il giorno stesso in cui Almasri è arrivato in Italia. Le coincidenze esistono e sono parte della vita, ma crederci è un atto di fede molto più grande che farsi invece molte domande e cercare di avere risposte.


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La prima domanda è quali provvedimenti sono stati assunti dalla CPI al proprio interno per un errore così grave, che essa stessa denuncia, ovvero l’emissione di un ordine di arresto errato e soprattutto la sua correzione a ben sette giorni di distanza. La seconda è chiedere se l’emissione di quest’ordine di arresto sia stata procedimentalizzato in maniera corretta o se il suo iter abbia subito dei ritardi o delle accelerazioni e chi le abbia eventualmente gestite. La terza domanda è chiedersi che cos’avrebbe fatto la Germania se vi fosse stato l’ordine di arresto emesso dalla Corte quando Almasri era sul suo territorio.

In questa storia i tempi contano, ma conta ancor di più il fatto che le decisioni di un organo internazionale impattano in maniera completamente diversa sugli interessi nazionali dei Paesi che dovrebbero applicare il contenuto dei provvedimenti emessi. Molti personaggi politici sono stati fatti oggetto di richieste di arresto da parte di questo organismo e molti Paesi negli anni hanno deciso di attuare o meno, con vari stratagemmi legati ai meccanismi interni, gli ordini provenienti dalla CPI. Sia ben chiaro che quando parliamo di questi giudici non parliamo di magistrati come li intendiamo nel nostro ordinamento. Sono giuristi individuati dai singoli Paesi aderenti e che poi successivamente svolgono le funzioni in maniera turnaria a seconda delle vicende da seguire. Detto con chiarezza, non hanno fatto un concorso e non sono strutturati all’interno di un sistema statuale; sono e restano emanazione più o meno diretta dei Paesi a cui appartengono.

Tutto questo non aiuta a riscontrare l’indipendenza di giudizio necessaria a togliere dubbi che non riguardano evidentemente il caso di merito. Riguardano piuttosto una gestione non trasparente di procedimenti interni ed il fatto che il ritardo nell’emissione dell’ordine di arresto abbia fatto sì che il nostro Paese si trovasse in una situazione di evidente difficoltà. Nel grande gioco della politica internazionale non è secondario avere un peso specifico ed un ruolo tali da essere rispettati e trattati – banalmente – alla pari degli altri. La spiegazione che va richiesta è come mai quel provvedimento sia arrivato con tempistiche che lasciano perplessi. Sarà poi il Governo a dover dare le sue spiegazioni, se non vincolato dal segreto, su come siano andate le cose.

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Tags: Giorgia MeloniGoverno Meloni

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