Ieri il Primo ministro giapponese Shigeru Ishiba ha incontrato il Presidente americano Donald Trump a Washington
Il Primo ministro giapponese Shigeru Ishiba in questi giorni è in visita negli Stati Uniti; è il primo leader asiatico a varcare la soglia della Casa Bianca dall’insediamento di Trump. Anche il Giappone, storico partner economico e politico degli Stati Uniti, si interroga sulla nuova politica commerciale degli Usa impegnati a ridurre un deficit commerciale ritenuto insostenibile. Oltre alla partita economica c’è quella geopolitica perché anche al Giappone si chiede un maggiore impegno a investire in difesa.
Nella conferenza stampa di ieri con Trump sono emersi alcuni elementi chiari. Il riequilibrio commerciale avviene sotto la minaccia di imposizione di dazi di cui anche Tokyo rischia di essere vittima. Si impone quindi la necessità di trovare un accordo che non sia traumatico.
Il Giappone è disponibile a investire fino a mille miliardi di dollari negli Stati Uniti se ci sono condizioni di reciprocità; sembrerebbe una premessa banale, ma l’opposizione americana all’acquisizione di US steel da parte di Nippon steel sembra, ancora oggi, insuperabile. Il Paese asiatico è disposto a investire se ha la possibilità di “contare”.
Un’altra possibilità emersa nella conferenza è quella che il Giappone aumenti le importazioni di gas liquefatto e di prodotti agricoli. Nel caso del gas Ishiba vincola la disponibilità alla sottoscrizione di accordi in cui ci sia visibilità sui prezzi che devono essere ragionevoli.
Il rapporto tra Giappone e Stati Uniti ha poi un angolo “finanziario”. I risparmi giapponesi da decenni alimentano i mercati americani con gli asiatici che guadagnano sul differenziale dei tassi e sulla rivalutazione del dollaro.
Se i tassi giapponesi salissero a sufficienza e il flusso si interrompesse, in un mondo che riscopre l’inflazione, i problemi per i mercati, anche americani, sarebbero gravi. Ishiba si è infine impegnato ad aumentare la spesa in difesa premettendo di volerlo fare nei propri termini e in piena autonomia decisionale.
Quanto emerso ieri offre indicazioni anche sulla prossima partita dell’inquilino della Casa Bianca che è quella con l’Unione europea. L’Europa dovrebbe riuscire nell’impresa di riequilibrare gli squilibri commerciali con gli Stati Uniti senza poter comprare gas, dati gli obiettivi “climatici” di Bruxelles.
All’Unione mancherebbe il primo strumento con cui il Giappone cercherà di vincere la sua partita con Washington. A differenza del Giappone l’Europa fa più fatica ad aprire il suo mercato ai prodotti agricoli americani che si troverebbero a competere con quelli comunitari in primis francesi.
La richiesta americana all’Europa di eliminare tasse e dazi che impediscono ai prodotti americani di competere ad armi pari è un problema per le imprese europee.
L’Unione oltre a essere diventata famosa per la proliferazione di regole e norme impone alle aziende i costi della transizione oltre che tasse sulla CO2 e varie altre penalizzazioni “green”.
Uno degli strumenti con cui la burocrazia europea ha pensato di tutelare la sua transizione è quello di un dazio in entrata che tenga conto del vantaggio di costo che hanno le imprese extraeuropee che inquinano. Nel 2025, dopo l’elezione di Trump, questo approccio è completamente inapplicabile.
Se Trump ottenesse più apertura per esempio per le auto americane diventerebbe immediatamente chiaro che le imprese europee non possono competere nello schema attuale, con i vincoli che impone Bruxelles, a meno che l’Europa decida un ripensamento profondo delle sue politiche. Se questo non avvenisse, i dazi sulle importazioni europee diventerebbero punitivi.
Nelle dichiarazioni di ieri sono mancati riferimenti espliciti alla Cina che per l’America è una minaccia esistenziale. Un diverso approccio con la Cina potrebbe essere una delle richieste politiche degli Stati Uniti all’Europa e questo sarebbe un problema perché le importazioni cinesi oggi aiutano l’Europa ad abbassare i costi.
La migliore difesa che l’Europa può mettere in atto è ribaltare l’approccio dando alle sue imprese ampia flessibilità e poche regole anche e soprattutto in tema energetico. Diversamente le trattative sembrano davvero in salita.
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