A volte questa società sempre più impaurita e incapace di condivisione ci appare come l'unica normalità possibile
Tutto deve funzionare. Pragmatismo e utilitarismo, non necessariamente sbandierati, ma sempre più spesso praticati, stanno diventando la normalità della nostra vita, tanto di quella politica e sociale, quanto di quella personale. Brutalmente potremmo dire che la parola d’ordine è marciare, mandare avanti il mondo, tirare avanti la famiglia e il lavoro, tagliando o censurando ciò che disturba (fosse anche il diritto alla libertà di uomini e popoli o l’ansia e l’insicurezza dei nostri giovani), spostando altrove ciò che non è al suo posto (fossero anche migliaia e migliaia di immigrati), anche eliminando se proprio serve (fossero anche vite umane malate, difettose, non desiderate).
Dall’altra parte dell’Atlantico questa “gloriosa” marcia verso un futuro migliore sta avanzando. Il mantra del presidente Trump “Make America Great Again” (Facciamo l’America di nuovo grande) può far paura per il cinismo con cui configura una politica estera aggressiva, una totale indifferenza nei confronti di poveri ed emarginati, un protezionismo economico di cui già sono in tanti a piangere.
E poco importa che gli Usa abbiano commissariato UsAid, l’agenzia americana per gli aiuti allo sviluppo internazionale, azzerandone il budget di quasi 70 miliardi di dollari all’anno, e costringendo alla sospensione delle attività il 67% delle Ong che operano nel mondo. Non sono tanto importanti i prezzi che si pagano, che i più poveri e i più sofferenti pagano, l’importante è che si ristabilisca la normalità dei conti che tornano, dei potenti che governano indisturbati, di un buon tenore di vita per tanti, anche se questo dovesse limitare la legittima sovranità degli Stati, la libertà dei popoli, l’esercizio della democrazia, la giustizia, il diritto alla vita.
Perché in fondo uno che sa far funzionare il mondo ha pure un suo fascino. Lo ha sicuramente avuto per larga parte dei Paesi europei, almeno fino a quando qualcosa non ha funzionato in quello Studio ovale della Casa Bianca. O forse ha funzionato così com’era stato previsto?
Ignorando le reali intenzioni dei protagonisti, possiamo solo augurarci che almeno un certo brivido di sgomento di fronte a comportamenti fino a quel momento imprevedibili possa una volta tanto far intravvedere come normali le ragioni della pace. Possa muovere i governanti a cercare ciò che è umanamente normale, che uomini e popoli possano vivere e vivere liberi.
Se per una volta le ragioni del nostro umano desiderio avessero la meglio, avremmo davanti l’orizzonte di un bene possibile realizzato. Per una volta la normalità sarebbe dalla parte del nostro cuore. Perché noi siamo capaci di desiderare una normalità diversa! Anche se troppe volte la fatica del quotidiano rischia di renderci cinici, anche noi tentati di tagliare, ridurre, ignorare.
Quante volte ci capita di stringerci nelle spalle, impotenti di fronte a drammi e contraddizioni che rompono il quieto vivere, che interrompono la piatta normalità, contraddizioni che non sappiamo come affrontare. Fino al punto che questa società sempre più impaurita e incapace di condivisione ci appare come l’unica normalità possibile. E così questa cultura che rischia di considerare inevitabile la scelta disperata dei malati incurabili ci appare talora quasi giustificabile. Così come una scuola che sanziona, punisce espelle, prima di accogliere ed educare, ci pare la giusta risposta a questi giovani così violenti e trasgressivi.
E in fondo va bene pure una politica che ci garantisca un certo benessere anche se partecipazione e vita democratica non sono proprio al primo posto. Eppure non possiamo negare che questa normalità preoccupata solo di funzionare e far funzionare ci intristisce, ci rende sempre più soli, arrabbiati, egoisti. La verità è che non siamo macchine e non siamo fatti per funzionare!
Lo aveva detto in modo estremante suggestivo lo psicoanalista Miguel Benasayag al Meeting di Rimini del 2022 . “L’umano ha una natura che non è solamente quella di funzionare, ma di esistere. Esistere vuol dire questa angoscia esistenziale di essere qui, cercando il senso, di essere senza sapere perché siamo qui, sempre con questi dilemmi. In questo spazio del non funzionamento. Per l’essere umano la falla non è un difetto, è il nostro rapporto con l’esistenza, il nostro rapporto con se stessi, con la storia, è una falla strutturale, mentre per la macchina non ci sono falle, difetti, funziona o non funziona”.
Questo è l’umano! E se non vogliamo perdercelo dobbiamo proprio accettare, anzi meglio, amare, la nostra imperfezione, il nostro limite, il bisogno inesauribile di senso che non riusciamo ad anestetizzare. Perché nell’esperienza di questa mancanza l’umano risorge. E allora sarà per un dolore che ci ferisce il cuore, o per un amore che lo fa vibrare in modo nuovo, sarà perché incontriamo una persona che ci guarda come mai ci era capitato, o perché ci imbattiamo in qualcuno che vive con un gusto che anche a noi piacerebbe provare, ma la vita ha sempre in serbo qualcosa di nuovo.
“Un imprevisto è la sola speranza” ci ha sempre ricordato Montale. E proprio questi imprevisti ci fanno vedere un’altra normalità, la normalità di quei sentimenti che appartengono all’umano, la nostalgia, il senso della fragilità, la coscienza del limite. La normalità di quelle esigenze che il cuore sente impellenti, come la verità e la giustizia. Questa è la normalità di cui abbiamo bisogno. E abbiamo bisogno che questa normalità scorra nel tessuto dei rapporti sociali e costruisca relazioni dove vibri la verità dell’umano, dei suoi bisogni e dei suoi desideri.
Questa è la normalità dentro la quale ogni diversità, ogni limite, ogni domanda, ogni inquietudine diventano normali e trovano spazio, perché questa è la normalità con cui il Mistero ci ha fatti.
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