Il ddl nucleare parte bene. Ma c’è un errore da rimediare: non si può mettere il “controllore” alle dipendenze di un ministero
Caro direttore,
le scrivo dagli States. Sono ancora parecchio basita (“astonished”, si dice qui) dallo spettacolo al quale in tanti abbiamo assistito in diretta sulla Cnn: un dialogo (si fa per dire) tra sordi in mondovisione. Ma il presidente Trump è in lotta col Deep State, non con la Russia, anche nella guerra che ha ereditato da Biden, altro suo nemico più volte citato nello scontro con il presidente Zelensky.
Ma il breve commento non è sull’argomento del momento, destinato a monopolizzare dibattiti (e creare non pochi grattacapi) nelle prossime settimane, forse mesi, bensì su quanto visto e ascoltato lo stesso giorno sulla nostra rete nazionale: la premier Giorgia Meloni che annunciava le mosse del governo sullo spinoso tema energia.
In sintesi: un decreto per l’immediato, quello sulle bollette delle famiglie a più basso reddito (1,6 miliardi di sgravi) e delle Pmi e gli energivori (1,4 miliardi) e un decreto per il futuro, quello sul nucleare.
Sul primo, occorre dire che è certamente un aiuto opportuno e atteso, soprattutto dalle piccole e medie imprese che, a differenza delle grandi ed energivore, non avevano mai beneficiato di riduzioni sui costi energetici (e pagano l’elettricità il 165% in più della media europea).
Non è strutturale e non risolve il problema, ma è una boccata d’aria fresca in una giornata che sarà torrida e lunga. Certo, evitare alle Pmi di pagare i famosi oneri di sistema in bolletta, ossia il contributo che serve a sussidiare le rinnovabili, allevia i costi per loro ma li aumenta per i comuni cittadini, perché i sussidi andranno comunque pagati.
Sul secondo, si tratta di un primo passo, atteso anch’esso, dai molti “però”, che bisognerà percorrere nel lungo e (molto probabilmente) tormentato tragitto verso il nucleare italiano. Certamente una scelta di prospettiva e non per l’immediato, visto che i primi risultati concreti si avranno in un decennio circa. Ma lo ha ricordato anche Matteo Renzi commentando il disegno di legge delega: serve partire, per arrivare.
Il ddl, come avevo già commentato, sembra scritto proprio bene. Nella versione finale approvata venerdì dal Cdm qualcosa è cambiato rispetto alla bozza inviata tempo fa a Palazzo Chigi.
In positivo: il tempo indicato per l’emissione dei decreti attuativi, una volta ottenuta la conversione in legge del ddl da parte del parlamento, è stato opportunamente ridotto da 24 a 12 mesi, un segnale da leggere con favore come indizio di una volontà di procedere spediti nel percorso. Poi, l’inserimento di un paio di commi a supporto della formazione universitaria e post-universitaria e per la valorizzazione delle attività di ricerca e sviluppo e dell’innovazione, il tutto da svolgere in collaborazione con le imprese.
Certo, le risorse umane saranno uno dei possibili colli di bottiglia per il nucleare italiano, anche perché rappresentano già un problema per il nucleare europeo che sta programmando la costruzione di nuove centrali, grandi e piccole, in molti Paesi. Ma il supporto dovrebbe coinvolgere anche la formazione secondaria e professionale, non solo quella universitaria: i laureati che servono per costruire una centrale rappresentano meno del 30%. Una mancanza importante, da colmare magari nella conversione in legge.
Altro punto positivo: si vedono i primi, pur timidi, soldi. Per il finanziamento delle iniziative di informazione per la popolazione, saranno disponibili 1,5 milioni di euro nel 2025 e 6 milioni nel 2026, oltre a 20 milioni di euro all’anno a partire dal 2027, in generale per le attività contenute nel ddl, fondi da recuperare all’interno della dotazione dello stesso ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. Una goccia nel mare delle reali necessità di finanziamento di un programma nucleare serio, ma più di questo forse non si poteva chiedere.
E comunque, è scritto che per le varie iniziative di supporto alla promozione dei territori interessati, all’autorità di sicurezza, alla realizzazione degli impianti, alla sperimentazione di tecnologie nucleari avanzate, al decommissioning, ai siti nucleari e per la nascita dei futuri operatori, le risorse finanziarie andranno opportunamente identificate e stanziate.
Ecco, proprio su una di queste iniziative si può rilevare l’unico cambiamento in negativo del ddl rispetto alla bozza originale: di fianco alle parole dedicate all’autorità di sicurezza nucleare indipendente, ne compaiono sempre due nuove, “ove istituita”. Segnale non proprio rassicurante: ad oggi l’Italia è dotata di un semplice ispettorato sotto il controllo del Mase, mentre l’istituzione di un’autorità nel vero senso del termine, ossia competente, indipendente, ben strutturata e con le giuste risorse umane, strumentali e finanziarie, è uno dei capisaldi per un programma nucleare serio.
Lo dice l’Agenzia internazionale dell’energia atomica (Aiea), che la indica a tutte le nazioni che vogliono dotarsi di energia nucleare, tra le prime azioni da intraprendere nel suo Milestone Approach, una sorta di vademecum dell’atomo.
Se si vuole il nucleare, occorre il coraggio di pensare “lungo” e possibilmente bipartisan (per quanto possibile): togliere il controllore del nucleare da sotto un ministero aiuta ad aumentarne l’indipendenza politica e a garantire continuità.
Ricordiamoci infatti ciò che successe nel 2011 in Germania: il governo Merkel voleva chiudere il nucleare, ma l’ente di sicurezza nucleare tedesco, con buon grado di indipendenza, emise un report che confermava il buono stato di salute e la solidità della sicurezza dei reattori. Costrinse quindi la Merkel a inventarsi una Ethikkommission (sì, una vera commissione etica) per giustificare l’abbandono del nucleare.
Molte luci e qualche ombra, quindi. Soprattutto, il banco di prova sarà la programmazione del dibattito alle camere. Quando? E quanto durerà? Quando verrà votato il ddl? Ma soprattutto: quando sarà dato il via libera alla famosa newco?
ENEL, Ansaldo Nucleare e Leonardo potrebbero così iniziare a lavorare subito alla parte più tecnica e strategica del processo: valutare le tecnologie dei reattori da scegliere, ma in particolare sedersi al tavolo con francesi, americani, inglesi, coreani e iniziare a far scoprire loro le carte, cercando di strappare le condizioni migliori e più favorevoli per l’Italia, alias la sua numerosa e capace supply chain, le sue utilities (non solo ENEL), i suoi distretti industriali che hanno bisogno di certezze per il futuro, per rimanere in vita.
C’è coesione su questi obiettivi, da parte di politici e industriali? C’è consapevolezza sulla necessità di essere celeri e decisi, su un tema così complesso e delicato? Difficile dirlo, c’è da sperarlo. Lo vedremo nelle prossime puntate.
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