Allarme CO2 nei Campi Flegrei: il gas potrebbe risalire ai piani alti, avverte Mastrolorenzo
Allarme CO2 nei Campi Flegrei. Il rischio legato all’accumulo di anidride carbonica nei Campi Flegrei è un pericolo che troppo spesso viene sottovalutato, ma che potrebbe avere conseguenze gravi, soprattutto con l’aumento del bradisismo. Giuseppe Mastrolorenzo, vulcanologo dell’INGV, è una delle voci più autorevoli e critiche sulla gestione dell’emergenza in questa zona.
Da anni, infatti, Mastrolorenzo lancia allarmi sulla caldera flegrea, preoccupato che le autorità non stiano dando la giusta attenzione a un rischio che potrebbe crescere col passare del tempo. In una recente intervista a Rai News24, il vulcanologo ha sottolineato la necessità di non abbassare la guardia, spiegando che l’accumulo di CO2 nelle aree più basse potrebbe diventare una vera e propria emergenza, in particolare se il fenomeno del bradisismo dovesse peggiorare.
Secondo Mastrolorenzo, le autorità locali sembrano concentrarsi solo sui semiterrati o sui locali sotterranei, trattando il problema come se l’anidride carbonica si fermasse a quelle altezze, ma non è così. “Il rischio che viene ignorato è che la CO2, seppur più pesante dell’aria, tende a risalire e a stratificarsi gradualmente, soprattutto quando è emessa dal suolo a temperatura non troppo elevata”, spiega il professore. In altre parole, la CO2 non rimane confinata nelle aree più basse, come molti potrebbero pensare.
Se non vengono presi adeguati provvedimenti, il gas potrebbe risalire dai semiterrati, salendo nei piani superiori degli edifici e sostituendo l’aria. Questo fenomeno potrebbe essere pericoloso anche a livelli più alti degli edifici, se non si adottano misure di sicurezza. Un accumulo pericoloso potrebbe verificarsi senza che ce ne accorgiamo, visto che il gas è inodore e incolore.
CO2 nei Campi Flegrei: allarme giustificato?
Il professore continua a spiegare che, sebbene le fumarole di Agnano, Pisciarelli e Solfatara emettano grandi quantità di CO2, la situazione è ben diversa rispetto a quella che potrebbe verificarsi con le emissioni dal suolo sotto le fondazioni degli edifici. “Le fumarole sono effettivamente un rischio, ma la CO2 che fuoriesce da esse si mescola con il vapore acqueo ad alta temperatura, e grazie al vento si disperde nell’aria. Non si concentra mai a livello del suolo, come accadrebbe in ambienti chiusi”, chiarisce Mastrolorenzo.
È un concetto fondamentale, perché mostra come le emissioni da fumarole siano gestibili in un certo senso, mentre quelle sotto gli edifici, soprattutto nei seminterrati, potrebbero accumularsi e creare situazioni critiche. Le autorità sembrano sottovalutare questi rischi, concentrandosi su interventi limitati, come la ventilazione nei semiterrati o l’installazione di sistemi di monitoraggio che, secondo il vulcanologo, dovrebbero essere decisamente più capillari e affidati agli esperti.
Mastrolorenzo ribadisce infatti che l’anidride carbonica è estremamente subdola: “Anche se si prendono precauzioni come finestre o balconi per arieggiare i locali, bisogna considerare che in inverno, con il freddo, spesso si tengono le finestre chiuse, e in quelle condizioni non possiamo escludere che l’anidride carbonica possa risalire fino ai piani superiori”. Un altro aspetto da considerare è che la concentrazione di CO2 potrebbe variare in base alle condizioni atmosferiche. Se c’è stabilità atmosferica e assenza di vento, come avviene talvolta nelle giornate di calma, l’accumulo di gas potrebbe verificarsi anche all’aperto, con il rischio che in determinate zone della conca di Agnano si possano raggiungere livelli critici, anche a cielo aperto.
Allarme CO2 nei Campi Flegrei: l’importanza di un monitoraggio tempestivo
Da tempo, Mastrolorenzo ha portato queste preoccupazioni alle autorità competenti, ma sembra che l’allarme non abbia ricevuto la giusta attenzione. “Ho sollevato il problema della CO2 nella zona dei Campi Flegrei già diversi anni fa, per esempio, quando c’erano progetti per trivellazioni e impianti geotermici, mettendo in luce il rischio di alterare l’equilibrio geologico”, racconta il vulcanologo.
Secondo lui, il monitoraggio dovrebbe essere una priorità, ma non può basarsi solo sulla buona volontà dei cittadini, bensì dovrebbe essere attuato attraverso sistemi di rilevazione professionali, costantemente aggiornati. Solo in questo modo si potrebbe evitare situazioni di pericolo e affrontare con efficacia la crescente minaccia dell’accumulo di CO2 nelle zone più vulnerabili della caldera. In fin dei conti, come spiega lo stesso Mastrolorenzo, «non si tratta solo di monitorare l’ambiente chiuso, ma anche di tenere d’occhio le zone all’aperto, perché il rischio è reale e va preso sul serio».
