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Home » Esteri » Europa » SCENARI/ Sapelli: l’Ue, pedina ignara (e sacrificabile) nella nuova guerra degli imperi

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SCENARI/ Sapelli: l’Ue, pedina ignara (e sacrificabile) nella nuova guerra degli imperi

Giulio Sapelli
Pubblicato 30 Marzo 2025
Il presidente della Russia Vladimir Putin

Il presidente russo Vladimir Putin (Ansa)

È bene capire quali siano i piani degli Usa sull'Europa e la Russia, come pure le reali potenzialità di Mosca e Bruxelles

Le sanzioni Usa contro la Russia imperiale e imperialistica aggressiva, sanzioni di stampo liberistico democratico, sono state accettate dalla nomenclatura dominante dell’Ue, provocando una sorta di autodafé imprevista e tragica dell’Europa quanto la stessa guerra. E questo perché la burocrazia celeste post-mandarina eurocratica è ormai dotata di poteri propri di funzionamento decisionale che si ergono, per via del fondamentalismo ideologico ambientalista e pacifista, come nuovo Golem minaccioso della civilizzazione. Esso a sua volta si erge contro gli interessi industriali e financo vitali delle nazioni fondatrici del patto tecnocratico europeo.


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Si tratta di un fenomeno tragicamente grandioso e nuovo nella storia mondiale e che sarà studiato per secoli e secoli, almeno sino a quando durerà la civilizzazione.

La ragione di questa trasformazione, sempre più evidente e incipiente, risiede certo nella rottura degli equilibri di potenza succedutisi allo sgretolamento del patto stipulato informalmente alla caduta dell’Urss e non rispettato né dal capitalismo anglosferico, né – tanto meno – dai capitalismi nazionalistici delle terre già dominate dall’imperialismo sovietico e ora in forte, angosciosa e apocalittica tensione culturale.


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La potenza tedesca di terra, intanto, continua vieppiù a essere sempre dominata dalla sua organica concretazione russo-cinese a fini di rifornimento energetico e di prolungamento di potenza. Un prolungamento che, dopo la Seconda guerra mondiale, si è potentemente esteso alla Cina con inusitata potenza.

Potenza che non può essere altro che solo terrestre e che ha impresso, con il declino dell’impero africano che ha segnato la fine della Francia come potenza mondiale (la bomba atomica non risolve una debolezza ormai cancrenosa), uno sgretolamento delle relazioni internazionali portentosa.


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Non a caso, al declino francese è contestuale il risorgere della Polonia, come potenza che sempre, in tutta la storia europea, si dispiega e si frastaglia internamente come terra di visioni illusorie e pericolose per la pace europea: una vicenda che sta alla base del configurarsi accidentato della linea jagellonica-baltico-balcanica nella storia mondiale.

Questa emersione di potenza delle storiche terre dell’impero, prima svedese e poi zarista, ha un che di straordinario. E di imprevisto, e pare donare alla storia futura una possibilità di guerre nazionalistico-antirusse di straordinaria fecondità e dannosità civile.

Il tutto ha un che di simbolico, se si sale sulle vette delle relazioni internazionali e se si scruta l’orizzonte.

Per questo il riflettere su questa vicenda del nuovo capitalismo di guerra – eufemisticamente designata come “riarmo” dell’Ue, nell’ignoranza endemica dei più – è essenziale per capire la trasformazione di oggi.

Il punto più visibile di tutta questa trasformazione fu ed è l’emersione del potere di Putin, dopo gli anni dell’aggressione economica anglosferica alla Russia eltsiniana e la reazione nazionalistica che ne seguì, impersonificata dalle oligarchie dello Stato profondo russo post-brezneviano e antigorbacioviano in alleanza con la Chiesa ortodossa russa: un complesso oligarchico di cui Putin è l’esponente più visibile.

Un’emersione che trovò subito i suoi alleati internazionali: non a caso la Turchia riconobbe la Crimea come entità storica costitutiva della nazione ucraino-piccolo russa. Ed ecco il disvelarsi non della Russia di Gorbaciov, ma quella che ha intrapreso una guerra disperata, come può fare, appunto, una potenza debole e timorosa di essere smembrata e che potrebbe ricorrere all’arma nucleare se si sentisse minacciata sino all’annichilimento, come affermano a chiare lettere gli intellettuali putiniani di riferimento. Basta leggere i testi. E non si leggono mai abbastanza.

Gorbaciov si spense, infatti, proprio quando la guerra di aggressione imperialistica e imperiale della Russia all’Ucraina era giunta a un punto di svolta decisivo.

La questione della Crimea è secolare: ed è paurosamente identitaria. Caterina la Grande ne fece un punto archetipale della sua politica di creazione di quell’impero che doveva bagnare i suoi piedi tanto nei mari caldi del lago Atlantico del Mediterraneo, quanto in quelli freddi dell’Indo-pacifico. Avrebbe preso così vita un costrutto di immensità autocratica e dispotica tale che trasformava il dominio mongolo di un tempo in una potenza, sì grande, ma ancora incapace di contendere al Regno Unito il dominio dell’India.

Di qui le vicende di oggi, ma con la Russia di Putin tragicamente antitetica a quella gorbacioviana e che, dalla Crimea, mira a estendere il suo potere negli storici Stati mesopotamici, come hanno dimostrato le guerre libiche e siriana. Ma gli Usa non permisero questo disegno, né alla fine della Prima guerra mondiale e con Versailles, né al tempo della crisi di Suez nel 1956 e certo non lo permettono oggi.

Il Grande Medio Oriente e il Nordafrica sono cosa loro, degli Usa, e non europea. Oggi, ecco la trasformazione che Putin e Karaganov non potevano prevedere: l’emersione bellica statunitense proiettata in Europa, che segnerà il declassamento russo nell’arena internazionale proprio per il ruolo ancillare a cui gli Usa destinano la Russia per contenere la Cina.

Oggi, infatti, è l’Artico il campo di battaglia: ed ecco, allora, gli Usa in campo, da dominatori transatlantici e quindi sovra-europei, con il rafforzamento della Nato a Nord, come è avvenuto già a partire dagli anni Novanta del Novecento.

Presenza Usa, questa volta, che avviene per annessione imperiale – annessione imperiale – delle nazioni europee e che si va configurando potentemente, consegnandole così a una marginalità perenne, di cui non si ha nessuna consapevolezza, come dimostra l’incomprensione di che cosa sia veramente la crisi energetica durante la guerra: non un’inflazione, ma una destrutturazione, una destrutturazione delle relazioni di potenza a vantaggio degli Usa.

Destrutturazione che ha di mira di nuovo la Germania e il suo legame cinese, che va spezzato, indebolendo anche tutte le nazioni europee attraverso le sanzioni economiche alla Russia e all’Ue nello stesso tempo.

L’Artico, il Mediterraneo e l’Indo-pacifico erano il triangolo della potenza imperiale disegnato come destino del “mondo russo” da Gorchakov, il geniale dominus della diplomazia ottocentesca non solo russa e il fondatore della grandezza euroasiatica russa di cui Primakov e – oggi – il disperato Karaganov, sono stati e sono gli interpreti più profondi del circolo putiniano più ristretto.

Gorbaciov non comprese che questo disegno poteva rifondare già allora la nuova Russia e per questo fu sconfitto. A questo disegno, che ora la Russia di Putin persegue, una potenza di terra come l’Ue non può opporsi. Ma anche la Russia non può perseguirlo: essa è tanto immensa quanto fragile e debole: un cumulo di armi obsolete su un corpo gracile. Di qui la tragedia che ci attende.

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