Ieri Marco Rubio ha dichiarato che gli Usa restano nella Nato. L'Ue appare determinata a riarmarsi ma i nodi da sciogliere sono tutti sul tavolo
Le discussioni, fin dai lavori parlamentari italiani, per l’ingresso nella NATO nel 1949 furono accese. Palmiro Togliatti, segretario del PCI, affermò che l’appartenenza ad un’alleanza offensiva avrebbe portato ad un peggioramento dei rapporti diplomatici con i sovietici, visto che l’URSS non aveva mai manifestato ostilità verso l’Italia. Il ministro degli Esteri Carlo Sforza affermò che l’appartenenza ad un’alleanza difensiva aveva lo scopo di “non indurre in tentazione” l’URSS.
Invece secondo Harry Truman, presidente USA, invece pur non sussistendo il pericolo di un attacco diretto, la propaganda e la minaccia bolscevica potevano destabilizzare i paesi europei. Fin dall’ingresso italiano nella NATO, infine, vi furono assidue lamentele americane per il mancato rispetto degli impegni economici verso l’Alleanza.
Dopo ottant’anni, la propaganda politica e le lamentele sono sempre le stesse e la NATO è sempre in Europa. Ieri il segretario di Stato americano Marco Rubio ha dichiarato che la NATO è più attiva che mai ed ha riferito che Trump non ha intenzione di uscirne.
Un cambio di passo nella politica europea
Oggi l’Unione Europea intende abbandonare la postura da potenza erbivora, intesa ad irradiare la sua influenza con la forza della pace, del benessere e dei diritti per tutti, per imboccare il sentiero inesplorato della difesa comune (riarmo). Un passo che a Bruxelles le élites europee ritengono necessario, come indica l’istituzione della carica di commissario alla difesa dell’UE affidata per la prima volta – forse non a caso – al lituano Andrius Kubilius.
La Germania fino ad ora aveva evitato ogni proiezione di forza militare all’esterno dei confini. La scorsa settimana invece ha ufficialmente avviato il suo primo dispiegamento permanente di truppe all’estero dalla Seconda guerra mondiale. Berlino infatti sta dispiegando una brigata corazzata da 5mila uomini della Bundeswehr in Lituania.
L’obiettivo è quello di rafforzare il fianco orientale della NATO al confine con l’exclave russa di Kaliningrad e con la Bielorussia alleata del Cremlino in risposta all’aggressione russa dell’Ucraina. La grande unità sarà al completo e pienamente operativa nel 2027.
Dunque la potenza che più danni ha fatto il secolo scorso si sta riarmando. Per la NATO, e per la Germania, lo spiegamento rappresenta un vero cambio di paradigma, in un percorso tutt’altro che chiaro. Occorre quindi inquadrare quali potrebbero essere, cominciando dai vincoli di bilancio, i punti di forza e di debolezza del riarmo europeo, le opportunità ed i rischi, nonché gli obiettivi da perseguire.
La percezione della minaccia russa
La minaccia russa è percepita diversamente dai vari Paesi UE in base alle caratteristiche geopolitiche, all’idea di sé che gli Stati vogliono trasmettere ai propri cittadini ed al modo di stare al mondo di ogni nazione.
I tre anni di guerra ucraina invece ci forniscono tre elementi di riflessione.
Il primo è la difficoltà russa a prevalere contro un avversario chiaramente più debole ma sostenuto da USA e UE.
Il secondo è la grande capacità russa e del suo apparato industriale militare a sostenere lo sforzo bellico, che ha portato uno Paese con un Pil simile al nostro a mobilitare un milione e 400mila uomini, con tutti i costi conseguenti, per tre anni.
Il terzo elemento è il sostegno di cui gode Mosca in parte delle opinioni pubbliche occidentali, secondo le quali la Russia, dopo le promesse occidentali non mantenute di non allargare la NATO a Est, è stata costretta a riprendersi il suo spazio difensivo. A ciò si accompagna in molti la suggestione che se la Russia non sarà fermata in Ucraina dilagherà in tutta Europa.
La percezione della minaccia cambia le risposte. I Paesi baltici hanno avuto la conferma delle clausole segrete del patto Ribbentrop-Molotov, riguardanti i piani di invasione russa in accordo con i nazisti, solo nel 1992. La percezione dei baltici sarà diversa dagli italiani, non a caso il Presidente della Repubblica Napolitano ebbe a dichiarare nel 1956 che i carri armati russi a Budapest portavano la pace.
Un percorso di integrazione difensiva?
Posto l’obiettivo del riarmo, che nel frattempo ha cambiato nome, da Rearm Europe a Readiness 2030 (“Pronti entro il 2030”) le domande, anziché diminuire, aumentano. Come sarà finanziato e quale sarà il ruolo di Bruxelles? Quali capacità andranno implementate? Quanto tempo ci vorrà per arrivare alla necessaria “integrazione” degli armamenti? Bisognerebbe aumentare le risorse in previsione di un attacco esterno oppure si dovrebbe implementare una deterrenza simile a quella della Guerra fredda? Da ultimo: gli USA si stanno allontanando dalla NATO e dall’Europa?
Qualcuno vede nella nuova “distanza” americana solo un approccio negoziale, altri un vero rischio di abbandono. Ma se consideriamo la triplice veste degli USA come consumatore, produttore e garante energetico, si vede subito che il mercato energetico europeo sarebbe un toccasana per la bilancia commerciale USA ed è troppo importante per essere lasciato ai russi. È chiaro però che gli USA chiederanno agli alleati di spendere di più per la Nato.
Il dossier va affrontato senza ambiguità e senza infingimenti. Finora a Bruxelles non sembrano essere stati capaci di farlo.
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