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Home » Esteri » Cina » LA RISPOSTA DELLA CINA/ Tre ipotesi e “opzione nucleare” (non solo dazi) contro Trump

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LA RISPOSTA DELLA CINA/ Tre ipotesi e “opzione nucleare” (non solo dazi) contro Trump

Int. Massimo Introvigne
Pubblicato 10 Aprile 2025
Xi Jinping, Cina

Xi Jinping, Presidente CINA (ANSA-EPA 2025)

Xi Jinping non si vede da giorni: è in riunione con i consiglieri economici per studiare la risposta a Trump nella guerra dei dazi. Molte le opzioni

Tra USA e Cina continua il botta e risposta sui dazi: l’ultima mossa è quella di Trump, che risponde all’84% deciso da Pechino con un 125% di aumento sui prodotti del Dragone esportati in America, sospendendo contemporaneamente per tre mesi i dazi nei confronti degli altri Paesi. Una mossa che spiega come in realtà sia proprio la Cina l’obiettivo della nuova amministrazione USA.


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Xi Jinping, spiega Massimo Introvigne, sociologo fondatore del Cesnur e del sito Bitter Winter, sta decidendo che linea adottare. I cinesi, solitamente, in questi casi trattano, ma c’è anche la possibilità di ritorsioni più pesanti, come negare le terre rare alle imprese USA che le comprano dalla Cina, o anche dare il via libera alla mafia cinese per inondare di fentanyl gli States, oppure ancora non opporsi alla contraffazione dei prodotti americani.


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Dietro l’azione di Trump, comunque, ci sarebbe un’idea condivisa anche da Biden, quella del decoupling, del distacco dell’economia a stelle e strisce da quella cinese, per non diventarne dipendente. Solo che i democratici volevano realizzare questo programma nel tempo, mentre Trump vuole vedere risultati immediatamente.

Ai controdazi cinesi Trump ha risposto aumentando i suoi al 125%. Come sta reagendo la Cina ai provvedimenti americani?

Xi Jinping, negli ultimi giorni, è sparito, probabilmente impegnato in riunioni prolungate con i suoi consulenti economici. In questo momento in Cina si fanno strada due scuole di pensiero e non è dato sapere quale prevarrà. La prima, che mi sembra minoritaria, pensa che questa sia, per dirla con Mao, una tigre di carta, un pugno sul tavolo di Trump per portare i cinesi a negoziare su tutta una serie di questioni. La seconda, che mi sembra lievemente prevalente, anche se poi è Xi Jinping che decide, ritiene che questi dazi siano veri e che siano destinati a durare per qualche tempo.


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In base a queste due letture, che tipo di reazione potremmo aspettarci dai cinesi?  

Nel primo caso la linea sarebbe conciliante e trattativista, nel secondo sarebbe più rigida. Facendo una rassegna delle ipotesi prese in considerazione dai commentatori della stampa cinese, che comunque non è mai indipendente ma supervisionata dal Partito, si parla della possibilità di colpire gli Stati Uniti con misure che non sono dazi. Non sarebbero efficaci: quelli americani sulle merci cinesi fanno molto più danno di eventuali dazi cinesi sulle merci USA.

Quali potrebbero essere queste misure?  

Si discute dell’interruzione della cooperazione nella lotta al fentanyl. In pratica significherebbe, da parte del governo, dare un segnale di via libera alla mafia cinese, con cui intrattiene noti rapporti. È come se dicesse: “Non faremo nessun controllo. Anzi, se riuscite a vendere la droga negli Stati Uniti, vi diciamo bravi. E se vi scoprono, sono fatti degli americani e non nostri”. Un’altra misura di cui si sta discutendo, invece, è il blocco delle esportazioni di prodotti essenziali, a cominciare dalle terre rare. L’economia USA potrebbe cercare delle alternative, ma intanto verrebbe messa in difficoltà, creando un grosso problema di approvvigionamento, soprattutto alle imprese ad alta tecnologia.

Ci sono anche altre ipotesi sul tavolo?  

Sì. Una è la sospensione dei diritti di proprietà intellettuale americani, aprendo la strada alla contraffazione. Il messaggio, in questo caso, sarebbe: “Imitate liberamente, violate pure i brevetti americani”. Bisogna tenere conto, comunque, che i numeri reali dei dazi sono più alti di quelli apparenti. Per molti analisti quando si parlava del 104% in realtà eravamo già al 150-170%.

La decisione di Trump sembra quella di un vero e proprio embargo sui prodotti cinesi. In realtà punta a mettere in discussione il ruolo dominante della Cina dal punto di vista commerciale?  

Si tratta di una cosa di cui parlava anche Biden: il famoso decoupling, cioè il fatto che l’economia americana deve diventare indipendente dalla Cina, riducendo l’import cinese a poco o niente e rinunciando alle esportazioni, perché tanto quello cinese per gli USA non è un mercato primario. Il problema è che il decoupling è difficile farlo in 24 ore, perché ci sono aziende americane che campano con materie prime e componenti cinesi. Tim Cook, della Apple, ha detto che è possibile realizzare l’iPhone con prodotti americani, come ha suggerito il segretario USA al Commercio, ma invece di 1.000 dollari ne costerà 3.500.

Vuol dire allora che gli USA non possono rinunciare a cuor leggero alla Cina?  

C’è il progetto di isolare la Cina e sostituirla con l’India: un obiettivo che non è un’invenzione di Trump, ma era già dell’amministrazione Biden. Però non porterebbe nessun beneficio ai lavoratori americani: gli iPhone li realizzerebbero i lavoratori indiani e non quelli cinesi. Resta, comunque, il problema delle materie prime. Anche le aziende che fanno software, per alimentare la loro catena, hanno comunque bisogno di componenti che arrivano dalla Cina. Chi è utente di Microsoft Word è stato raggiunto dall’annuncio di un aumento del 40% sul costo di questo programma (e di Office) in Italia.

L’atteggiamento aggressivo di Trump cambierà anche i rapporti della Cina con il resto del mondo? Pechino, ad esempio, potrebbe spingere i BRICS a realizzare una moneta alternativa?  

Sì, con i BRICS potrebbe succedere questo. Per il resto, il ministro degli Esteri cinese ha dichiarato che Pechino, sui dazi, deve fare fronte comune con l’Unione Europea. Converrebbe alla Cina, ma non è detto che convenga a Bruxelles. La Cina, ad esempio, per l’Italia come mercato di esportazione equivale alla Svizzera, mentre gli USA, in proporzione, sono tutto il resto dell’Europa. Non bisogna farsi fuorviare dal fatto che Pechino o Shanghai sono piene di prodotti Prada e Gucci: non fanno grandi numeri.

Perché gli USA hanno bisogno del decoupling?  

Una delle idee che tutti i politici americani hanno è che gli USA siano in una posizione vulnerabile: la loro economia sarebbe troppo dipendente da quella cinese e, in caso di conflitto, per esempio con Taiwan, verrebbe messa in ginocchio. Solo che i democratici parlavano di un decoupling graduale, da realizzare in 10-15 anni, mentre Trump pensa di poter fare tutto in una notte.

Che reazione ci possiamo aspettare, alla fine, dalla Cina?

I cinesi, nel commercio, sono uomini di trattativa. I commentatori sono autorizzati dal Partito Comunista ad agitare “opzioni nucleari”, tipo il mancato riconoscimento della proprietà intellettuale americana, però può essere che, prima di arrivare a soluzioni di questo tipo, Xi Jinping decida di percorrere la via della trattativa. Trump ha già detto che non rifiuterebbe di incontrarlo. Poi bisognerà vedere se il negoziato porterà a risultati utili, perché altrimenti, sul tappeto, c’è il blocco della fornitura delle materie prime alle aziende americane, comprese quelle che producono in Cina.

(Paolo Rossetti)

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Tags: Donald TrumpJoe BidenXi Jinping

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