Il “caso Groenlandia” fa registrare la latitanza della Danimarca da qualsiasi approccio comune europeo. Nel silenzio “smemorato” di Bruxelles
Provate a chiedere a Volodymyr Zelensky in quanti giorni di battaglia sul fronte russo le forze ucraine bruciano un miliardo e mezzo di euro. E domandategli se avrebbe resistito tre anni senza il sostegno massiccio e quotidiano di tutti gli apparati Nato, cioè del Pentagono.
Chissà se il governo danese ha interpellato Kiev prima di premere sul Wall Street Journal (avversario di Donald Trump) perché rilanciasse nella mediasfera un annuncio di gennaio: l’intento di Copenaghen di investire 1,5 miliardi di euro nella difesa della Groenlandia.
La prima notizia è che dieci settimane dopo l’Inauguration Day di Donald Trump – mentre la nuova amministrazione Usa insiste per avere mano libera sul possedimento danese nel continente americano – Copenaghen è ancora ferma al classico “ruggito del coniglio”, a sostegno dell’affannosa dichiarazione d’indipendenza di qualche migliaio di inuit trattati per due secoli alla stregua di colonia. Poi lo spazio per gli interrogativi sembra praticamente infinito.
Perché la Danimarca sembra accorgersi solo ora che la Groenlandia è una frontiera avanzata degli Usa sull’Artico? Uno spazio amplissimo che, fra cambiamento climatico e sviluppo tecnologico, può diventare da un giorno all’altro un fronte bellico più ampio di quello russo-ucraino. E non solo per gli Usa: anche per l’Europa, Scandinavia in avamposto.
Copenaghen pensa veramente di rilegittimare la sua sovranità sulla Groenlandia promettendo di investire una tantum lo 0,1% del budget annuale del Pentagono nella difesa – oggi inesistente – di quel gigantesco scatolone di ghiaccio?
La Danimarca sta coordinando i suoi piani con la Nato e con la Ue? Oppure si muove di concerto con i “Volenterosi” (sostanzialmente anti Nato e Ue) chiamati da Emmanuel Macron e Keir Starmer, ammesso che siano ancora vivi? A quei tavoli c’era anche il Canada, egualmente “premuto” da Trump: la premier danese Mette Frederiksen ha parlato dei suoi piani con il nuovo premier di Ottawa, Mark Carney?
La volontà di “difendere la Groenlandia” è in questa fase un atto oggettivo di “resistenza” a Trump nell’escalation della guerra dei dazi fra le due sponde dell’Atlantico. Il caso verte su una questione geopolitica che ha buone chance di rientrare fra i dossier di una prossima Grande Trattativa fra Usa e Ue: vi è un minimo di gioco di squadra fra Copenaghen e Bruxelles? Oppure la Danimarca si è già virtualmente indirizzata sulla strada del negoziato bilaterale?
Last but not the least: alla stretta delle decisioni sul riarmo, a Copenaghen stenta a decollare un vero dibattito democratico. E questo avviene in un Paese per definizione “civilissimo” nell’eterna narrazione europea, un caso ormai raro di centrosinistra al governo. Ma è un “fronte democratico” che, già sul versante migratorio, si è mostrato più a destra della destra italiana. Ma il “fascismo” – visto da Bruxelles – può abitare solo a sud, a ovest o nell’est al di là del confine tedesco.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
