La Commissione europea ha presentato ieri la roadmap per dire addio alle forniture energetiche russe, ma non sembra un buon piano
Ieri la Commissione europea ha presentato la “roadmap” per arrestare completamente qualsiasi dipendenza dall’energia russa. La Commissione premette che grazie al piano presentato a maggio 2022 la quota di gas russo sul totale delle importazioni europee è scesa dal 45% al 19%, ma che nel 2024 c’è stato un rimbalzo. Il nuovo piano, che richiede l’approvazione del Parlamento europeo e della maggioranza dei Paesi membri, ha con ogni probabilità l’obiettivo di aggirare nuove sanzioni contro il gas russo che richiedono invece l’unanimità; sia l’Ungheria che la Slovacchia, preoccupate per gli effetti sui loro mercati energetici, hanno infatti già dichiarato l’opposizione a nuove sanzioni.
A tre anni dal piano “RePowerEU”, presentato dopo appena qualche mese dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, l’Europa può sicuramente dire di aver più che dimezzato le importazioni di gas russo. Sul versante economico e della sicurezza energetica invece c’è molto da fare.
I prezzi dell’elettricità in buona parte d’Europa, sicuramente in Italia e in Germania, sono molto più alti di quelli del 2021 al punto da aver minato la competitività del cuore industriale europeo. Questa è la parte più misurabile della crisi energetica europea. L’Europa ha chiuso l’inverno 2024/2025 con gli stoccaggi ai livelli più bassi degli ultimi tre anni.
In questi stessi giorni in Europa si discute la possibilità di abbassare gli obiettivi di riempimento degli stoccaggi fissati dall’Unione; i prezzi del gas sono già troppo alti e la quantità necessaria a riportare gli stoccaggi al 90%, il livello obbligatorio scelto dall’Ue per ogni Stato membro, metterebbe ulteriore pressione al rialzo ai prezzi e obbligherebbe gli operatori a un impegno finanziario notevole.
Mentre in Europa si discute, la Germania decide in autonomia nuovi limiti di riempimento che non sono più quelli dell’Europa; non più il 90% di riempimento al primo novembre ma solo l’80% e abbandono dell’obiettivo intermedio di riempimento all’80% prima del primo ottobre. Per Berlino la modifica è frutto della stabilizzazione dei mercati del gas e dell’aumento della capacità di rigassificazione, ma è chiaro che se le condizioni fossero quelle del 2021, in termini di prezzi e di disponibilità, non ci sarebbe stato alcun bisogno di questa revisione al ribasso.
Intanto, esattamente come per il deficit, la Germania decide per se stessa a prescindere e prima di qualsiasi decisione europea. L’Europa, in conclusione, entrerà nella prossima stagione termica in una condizione energetica più fragile di quella degli ultimi tre anni.
Il comunicato della Commissione europea con cui si presenta il piano per terminare una volta per tutte la dipendenza dalla Russia si apre con un’immagine di una turbina eolica. L’ultimo inverno si è chiuso con gli stoccaggi ai minimi per due ragioni. La prima è che ha fatto più freddo della media. La seconda è che la produzione eolica tedesca è stata molto più bassa di quella degli ultimi anni e quindi il sistema, sotto stress, ha dovuto ricorrere massicciamente agli idrocarburi e al gas.
La ventosità media degli ultimi decenni con cui ci si rassicura per un pronto ritorno a valori più alti di produzione eolica forse ci dice quanti elettroni verranno generati in media nei prossimi vent’anni, ma molto poco su quello che accadrà nel prossimo inverno. Le batterie con cui si dovrebbe risolvere l’equazione richiedono, per essere minimamente significative dal punto di vista del sistema, importi che si misurano in decine di punti di Pil.
L’Europa ha ridotto la dipendenza dal gas russo, ma non è stata in grado né di risolvere il problema della sicurezza energetica, né quello dei prezzi del gas e dell’elettricità che sono esplosi e che a tre anni dal piano rimangono su livelli sensibilmente più alti, tra il doppio e il triplo, di quelli antecedenti la crisi.
In questa situazione risolvere i problemi, economici e di sicurezza energetica, dentro i binari di una transizione che non contempla né idrocarburi “di prossimità”, né il nucleare tradizionale appare davvero difficile.
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