Bono, il fondatore degli U2, si mette a nudo davanti al suo pubblico in un film ad alto tasso emotivo
Càpita ai più famosi personaggi pubblici che varcata la soglia dei 60, per dare un senso al proprio futuro, si guardino all’indietro, al passato e rileggano la loro vita alla luce dei legami affettivi e agli avvenimenti che li hanno fatti crescere, che li hanno formati, e nel riavvolgere il nastro accorgersi di sorprendere i propri sentimenti diversi, più maturi.
Quando poi, questo passaggio esistenziale càpita ai protagonisti del rock, oltre alla prosa, tocca alla musica diventare espressione indelebile del percorso umano più personale.
Da anni Bob Dylan, tra autobiografie, premi Nobel e celebrazioni antologiche sulla musica del ‘900, sta indicando la strada della memoria collettiva, non alzando mai, però, la coltre di enigmatico mistero che aleggia intorno alla sua figura, talmente irraggiungibile da sfiorare il mitologico.
Nel 2017, in maniera sperimentale, quasi per gioco, Bruce Springsteen decise di mettere in scena la sua vita, e non come semplice modo di dire, ma raccontandola calcando le assi del palcoscenico in un teatro di Broadway. Si pensava a poche serate, ma inaspettatamente, il teatro, sera dopo sera registrò sold out per un anno intero. Ogni sera il Boss raccontava di sé e delle sue canzoni in splendida solitudine accompagnato solo da una chitarra, un piano e l’affettuoso sostegno della moglie Patty (con annessa preghiera finale del Padre Nostro).
Quasi a voler emulare i suoi illustri colleghi, di qualche decennio più anziani, nel 2022, Paul Hewson, in arte Bono Vox, fondatore di uno dei più famosi gruppi rock a livello planetario, gli U2, pubblica un poderoso volume dal titolo esplicito “Surrender” (“Arreso”) dove rilegge la sua vita alla luce del catalogo musicale di 40 titoli tra i successi della “sua” band.
All’uscita editoriale fa seguito un discusso cofanetto discografico “Songs of Surrender”, in cui tutto il gruppo con più o meno entusiasmo rimette mano alle atmosfere originali dei brani scelti (sempre 40).
L’inarrestabile Bono, poi, si imbarca in una mini tournée teatrale, uno storytelling (come si usa dire oggi) nella quale confessare davanti al pubblico pagante, le contraddizioni, i pensieri, le passioni, i legami di un irlandese arrivato ad essere oltre che uno dei più grandi protagonisti del rock mondiale, anche un uomo sensibile ai problemi sociali del mondo circostante.
Dai primi di giugno, sulla piattaforma Apple TV+ è approdato il docufilm, in un intrigante bianco e nero, che documenta queste pieces teatrali.
“Sono nato con un cuore eccentrico: in una delle camere del cuore dove tutti hanno tre porte, io ne ho due. Due porte a vento che, a Natale 2016 si sono scardinate.” Il racconto di Bono inizia così, drammaticamente, e subito il pubblico si sente coinvolto. “I nomi che diamo a Dio? Tutti respiri! Ggggeeeeoovaaa … Aaaalllaaahhhh … Yyyeessssshhhuuuuaaaa… Yeshua … non c’è. È una cosa straordinaria chiedere al silenzio di salvarti, di rivelarsi a te, scoprire che quel silenzio ha un volto: ma in questo momento Dio sembra essere scomparso. Dove mi trovo? Senza aria, senza preghiera?”.
E parte “Vertigo”, sostenuto come per tutti i brani che puntelleranno i ricordi di Bono da una piccola ensemble acustica composta da violoncello, arpa, tamburo e un discreto congegno orchestrale (di alcune di queste versioni è stato pubblicato un EP).
Con un’efficace regia cinematografica, la storia di un ragazzo irlandese nato da una famiglia con papà cattolico, mamma protestante e fratello maggiore comincia a dipanarsi.
Il padre Bob è un grande appassionato di musica classica e operistica (Beethoven, Mozart, soprattutto Verdi, “La Traviata”), ma la quotidianità del ragazzino Paul si frantuma davanti alla improvvisa morte per aneurisma della mamma Iris, proprio quando stanno seppellendo il padre di lei. Da allora il nome Iris non fu più nominato in casa Hewson.
Paul potrebbe perdere la ragione ma viene salvato dalla potenza del punk rock, quello dei Ramones e il ragazzo scopre la passione per la musica di quei tempi, ribelli al paludato progressive rock.
(…e parte “Out of control”, il primo pezzo composto della sua carriera)
Entusiasta di questa scoperta, cerca compagni musicisti che possano fare musica insieme a lui: nascono così, negli ambienti scolastici (che affinità con la biografia dei Beatles!) quelli che tutto il mondo in pochi anni riconoscerà come gli U2.
Cominciano a suonare negli ambienti cristiani di Dublino ma il loro desiderio di “cambiare il mondo divertendosi” si scontra con una certa rigidità religiosa (siamo in piena guerriglia civile tra protestanti governativi e cattolici autonomisti) e quindi sono sul punto di sciogliersi,
ma l’insistenza del loro promoter e il genio di The Edge che inventa “la canzone degli U2” per antonomasia “Sunday Bloody Sunday”, (“Arte religiosa che incontrava i Clash (…) il contrasto tra la domenica di Pasqua e il massacro di 14 manifestanti disarmati nella città di Derry”) li rimette in cammino, proprio mentre Bono ha da poco sposato la donna che è ancora sua moglie e madre dei suoi quattro figli: Alison Stewart (“Una donna di fede”), anch’essa conosciuta sui banchi di scuola.
1985: l’evento planetario di “Live Aid”, consacrazione rock e beneficenza: parte “Pride (In the name of love)“, ma sorgono tutte le contraddizioni, domande scomode sul proprio ruolo di rockstar. I dubbi sulle ingiustizie economiche sul debito dei Paesi più poveri, la decisione insieme alla moglie di trasferirsi in Africa per fare volontariato in un orfanotrofio in Etiopia.
Le strade africane non hanno nome (“Where the streets have no name”).
Ma l’inquietudine resta: “Tutto questo salvare il mondo è davvero un servizio? Un dovere? Rabbia giustificata? O è solo un desiderio infantile di essere al centro dell’azione, dell’attenzione? Da qui la domanda: si può avere un figlio e rimanere un figlio? È ora di crescere, ma rischio di sputtanare tutto!”
E qui parte una tribale “Desire”. “Desiderio e virtù sono una danza. Nessuno le balla meglio di mia moglie”.
Arriva la prima figlia. Poteva mancare “With or without you”?
Ma Bono vuole rimanere attaccato al padre, quel padre che ancora non crede nel figlio rockstar, c’è una diffidenza reciproca: si incontrano regolarmente al pub e il discorso inizia sempre con una frase, una specie di parola d’ordine: “Niente di strano o sorprendente?” e un giorno Paul gli annuncia che il grande tenore Luciano Pavarotti ha chiesto a lui e a The Edge di scrivergli una canzone in occasione dei suoi concerti benefici a Modena.
Il padre lo prende in giro incredulo, ma la canzone si farà (“Miss Sarajevo”) e sarà indimenticabile l’incontro con l’icona del melodramma italiano.
Ma un giorno sempre in quel pub alla parola d’ordine il signor Hewson risponde al figlio che ha un cancro. Paul rimane di stucco.” Ma come? Anni per capire mio padre e ora che c’ero riuscito lo vedrò morire presto”. Chiama Yoshua e Yoshua non risponde. Potrebbe maledire, ma si accorge che tutto quello che sta accadendo è un dono. Accenna ad “Iris (hold me close)” dedicata alla madre e poi l’esplosione di “A beautiful day”.
Siamo verso la fine del film, ecco le ultime riflessioni: “Quando ho perso mia madre ho riempito il vuoto con la musica del gruppo. Quando ho perso mio padre è come avessi cambiato la voce. Forse ha che fare con la parola ‘perdòno’ . Non so se sono stato io a perdonare lui o lui me. Sono nato con i pugni alzati. Arrendersi non è facile per me. Arrendersi ai miei compagni, a mia moglie, al mio Creatore. È una lotta! Ma ho abbastanza fede per sperare e abbastanza speranza per amare. E la mia musica me la ha insegnata il mio padre terreno”.
Arrivano i colori sullo schermo, siamo all’interno del Teatro San Carlo di Napoli e Bono intona con impeto stentoreo “Torna a Surriento”. Una commossa dedica al padre.
Titoli di coda, si torna al bianco e nero, Bono si accommiata con la canzone manifesto “The showman (little more better)”: “L’uomo di spettacolo concede il suo cuore a voi in prima fila. L’uomo di spettacolo prega che il suo mal di cuore farà breccia dando spettacolo nel suo cadere a pezzi”.
Si conclude così, sullo schermo, una storia di legami e appartenenza, di lotta e di arresa, anzi no, di lotta per lasciarsi arrendere agli affetti più cari, quelli che appartengono alla vita di un uomo (rockstar o no).
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