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Home » Esteri » Europa » VISTO DA SINISTRA/ “Perché i socialisti devono dire no al massimalismo green e sostenere von der Leyen”

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VISTO DA SINISTRA/ “Perché i socialisti devono dire no al massimalismo green e sostenere von der Leyen”

Paolo Torricella
Pubblicato 27 Giugno 2025
L'europarlameto di Strasburgo (Ansa)

L'europarlameto di Strasburgo (Ansa)

Il caso della direttiva anti-greenwashing potrebbe mettere in crisi la maggioranza che sostiene von der Leyen sulla flessibilità degli obiettivi green

Mentre volano le bombe nel Medio Oriente e la guerra è alle porte del Dnepr in Ucraina, a Bruxelles si parla d’altro. Diversi anni fa l’Europa si è accorta di voler abbandonare per convenienza, più che per convenzione, l’economia consumistica spinta ed ha implementato nelle proprie linee di sviluppo la sostenibilità ambientale come asse portante.


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Negli anni questa scelta politica si è trasformata in un meccanismo di valorizzazione dei prodotti che hanno cercato una propria narrazione autonoma per arrivare ai consumatori con una bella faccia imbellettata, divenendo più appetibili millantando scarsi impatti ambientali anche quando questi erano importanti.

Per far fronte a questa evidente pratica commerciale scorretta e per poter dare più forza e spinta alla cosiddetta green economy, era pronto uno schema di provvedimento che la Commissione europea si apprestava a presentare.


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Il punto è che quel provvedimento comporta una battaglia al falso green, il cosiddetto greenwashing, ma al contempo impone alle aziende europee delle importanti modifiche alle proprie strategie commerciali e produttive con un ipotetico aumento dei costi ed una minore appetibilità sul mercato.

Per questo motivo al Parlamento europeo c’è stata una forte discussione che ha coinvolto diverse forze politiche ed in particolare i socialisti europei, che oggi minacciano di abbandonare Ursula von der Leyen se non verrà approvata la direttiva ormai pronta.

I popolari si sono opposti ed hanno ottenuto un rinvio. La maggioranza scricchiola pesantemente e il rischio di una crisi è imminente, innescata proprio da questi motivi.


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Il punto è che questa dinamica di discussione appare evidentemente anacronistica rispetto agli ultimi sei mesi di vita politica, durante i quali l’avvento di Trump ha modificato profondamente gli scenari internazionali ed ha messo in agenda altri temi.

In particolare i costi per la difesa che dovranno aumentare, una nuova strategia di relazioni con gli Stati Uniti per i dazi che arriveranno, una instabilità generale nel mondo che rende più complicato per le aziende europee arrivare su altri mercati.

In questo contesto molti si domandano che senso abbia proseguire con una strategia massimalista di piena aderenza ai principi della green economy in un mondo in cui non esiste quasi più il concetto di Occidente e soprattutto le economie più avanzate sono diventate un modello alternativo, e non più il modello di riferimento, delle economie emergenti.

Il che significa che, a differenza del passato, lo scatto in avanti dell’Europa su questi temi verrà interpretato come una scelta autonoma e non come un valore aggiunto sulla qualità dei prodotti e del sistema economico dagli altri operatori internazionali e dagli altri Stati, con l’effetto di creare un mercato ristretto europeo ed al contempo ridurre la crescita nei prossimi anni.

A riportare in agenda il tema sono le stesse forze politiche che si trovano più in difficoltà a leggere il nuovo scenario e che vorrebbero ritornare a un’agenda globalista e ambientalmente sostenibile abbandonando gli scenari di guerra. Ma la questione è molto complicata. Non è l’Europa e non sono gli europei a dettare i tempi delle scelte dei Paesi orientali, degli americani, dei russi, dei cinesi, che hanno oggi agende del tutto diverse e sentieri di sviluppo del tutto autonomi.

Perciò il tema è delicatissimo e forse meriterebbe ancora approfondimento. Se però l’Europa si vuole chiudere nella sua fortezza ideologica e si autoimpone dei meccanismi di produzione e di comunicazione che non diventano standard internazionali, il rischio di isolamento, e di conseguenza perdita di capacità di esportazione sui mercati internazionali,  è concreto.

Soprattutto, se gli scenari internazionali di guerra resteranno quelli attuali per i prossimi mesi, la vera necessità per il sistema produttivo europeo sarà riscoprire la propria vocazione ed una propria flessibilità e non farsi imbrigliare in norme regolamentari costruite ad arte dalla politica per eterodirigere l’economia e farla arrivare, secondo le intenzioni, ad un approdo più ecosostenibile.

A questo si aggiunge che la gran parte dei cittadini europei, e consequenzialmente anche degli elettori, iniziano a manifestare un certo disinteresse per la questione, preoccupati dell’instabilità internazionale più che delle etichette dei prodotti o delle false attestazioni di sostenibilità che potrebbero indurre ad acquistare merci confezionate con foglioline in bella vista e certificati di sostenibilità che in realtà seguono gli stessi processi industriali di quarant’anni fa.

Forse sarebbe il caso di riportarsi ai fondamentali della gestione della cosa pubblica ed alle massime che dovrebbero indirizzare i decisori politici nei momenti di difficoltà. Primum vivere, deinde philosophari, verrebbe da dire; l’Europa si deve prima riappropriare della propria leadership economica e politica per poi ispirare gli altri e se stessa con delle visioni e delle prospettive di così grande respiro.

Con un po’ di buon senso potrebbe essere opportuno prendersi una pausa e rifare una riflessione in modo da capire quali possono essere gli impatti macroeconomici di scelte così radicali.

Su questo i socialisti europei fanno finta di non sentire ed il motivo è abbastanza semplice. Sanno di avere la leadership sul tema dei diritti civili, dell’ambiente ed in generale di una visione, a loro dire, più moderna della società. Fanno estremamente più fatica ad essere efficaci sui temi delle guerre, del rapporto con gli Stati Uniti, e nel rapporto con le grandi superpotenze straniere.

Perciò spingono affinché si possa portare all’opinione pubblica una qualche forma di ritorno al passato, ovvero ai tempi in cui la loro agenda appariva moderna e utile.

Solo che oggi la preoccupazione maggiore delle persone non è più quella di comprare il veicolo che consuma meno energia o che inquina di meno, neppure è essere certi che un prodotto sia effettivamente sostenibile come viene rappresentato; la vera preoccupazione di tutti gli europei in questo momento è sentirsi al sicuro nelle proprie case, protetti, e che le guerre finiscano in fretta.

A queste condizioni sono probabilmente disponibili ad accettare la prospettiva di un’ecologismo integralista e sicuramente di un futuro più sostenibile che possa essere gestito con maggiore tranquillità, ma solo dopo che si sarà trovata una posizione comune e una soluzione alle grandi crisi militari che stiamo attraversando.

Se sarà poi il greenwashing a stabilire che la maggioranza non esiste più, e quindi ad aprire la prima crisi politica formale del governo europeo, non è dato ancora sapere. Ma se capitasse, non sarà altro che un casus belli per riportare al voto gli europei e riposizionarsi politicamente nella nuova fase politica.

Un azzardo che alcuni suggeriscono di fare per potersi liberare dal peso del governo unitario con i popolari ed avere quindi mani libere nella scelta delle posizioni da sostenere in questa fase difficile e delicata.

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Tags: Ursula Von Der Leyen

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