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Home » Educazione » CAOS MATURITÀ/ 1. “Studenti che rifiutano l’orale, è un gioco (falso) che non funziona più”

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CAOS MATURITÀ/ 1. “Studenti che rifiutano l’orale, è un gioco (falso) che non funziona più”

Gianluca Zappa
Pubblicato 12 Luglio 2025
Esame di maturità, un momento dell'orale (Ansa)

Esame di maturità, un momento dell'orale (Ansa)

Maturità, il colloquio che non c'è: studenti preparano tesine, docenti valutano nozioni. Ma dove sta la vera crescita?

Ho letto con interesse il contributo di Federico Pichetto sul caso dello studente che ha in pratica reso nulla la propria prova orale all’esame di maturità. Nel frattempo, a Gianmaria Favaretto si sono aggiunti un altro studente a Treviso e una studentessa a Belluno.

Pichetto trae spunto dalla decisione di Favaretto per considerazioni alte e condivisibili, ma giunge ad una conclusione che mi trova solo in parte d’accordo: “La sfida dell’esame di maturità non è riformare l’orale, ma riformare il cuore dell’educazione. Ridare spessore alla realtà. Restituire al rito la sua verità. E riconoscere che solo chi si sente guardato può trovare il coraggio di parlare”.


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Se è vero infatti che è il “cuore dell’educazione” che va riformato, è anche altrettanto vero che quando questo cuore è nuovo s’impatta con una prova orale pessimamente pensata, pessimamente declinata, pessimamente attuata in tante, troppe commissioni d’esame.

C’è una sorta di lapsus freudiano nell’articolo di Pichetto, proprio nelle prime righe, quando usa dei termini che sembrano suonare come sinonimi: egli parla di orale (prova orale), poi del ragazzo che ha rinunciato al colloquio, quindi aggiunge che il suo gesto non è stato un “rigetto dell’interrogazione in sé”.


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I primi due termini sono corretti (nell’ordinanza ministeriale si usano entrambi e soprattutto il secondo), il terzo no e non è possibile utilizzarlo come sinonimo: una interrogazione non è un colloquio, ma un’altra cosa.

Ora, qui non si vuole fare una questione di lana caprina, ma soltanto riflettere sul fatto che le parole sono molto importanti e che l’equivoco di cui sopra è quello che porta a trasformare moltissimi colloqui d’esame in interrogazioni dove si testano soprattutto i contenuti, la preparazione del candidato, con un’evidente forzatura e un tradimento dello spirito stesso della prova.


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Eppure nella griglia di valutazione diffusa dal MIM la conoscenza dei contenuti è solo una delle cinque voci su cui dovrebbe essere testato il candidato. Purtroppo, però, risulta essere spesso l’unico oggetto di discussione e di interesse: “Con te com’è andato? E con te?”, chiedono i commissari d’esame. Se provassimo a togliere i contenuti, della prova orale così come è attualmente condotta e concepita (un’interrogazione sulle varie discipline) cosa rimarrebbe?

Ho, mio malgrado, un’esperienza molto lunga in fatto di commissioni d’esame e devo dire che rimarrebbe molto poco. Quasi niente. Molti studenti, assegnato lo spunto attraverso un documento, immancabilmente cercano di riportare quello spunto all’unica o, quando va meglio, alle due o tre tesine che si sono preparati con i relativi collegamenti, e partono con un’esposizione di contenuti che non prevede un pensiero autonomo, un coinvolgimento personale, un interrogativo.

Dato per esempio uno spunto che rimanda al viaggio, il loro unico problema da risolvere sarà: come collego tutto intorno al tema del viaggio? Praticamente è l’inizio di un gioco (che va bene a tutti perché non richiede un impegno particolare) e gli studenti troveranno davanti a loro dei docenti che stanno a quel gioco, che vogliono quel gioco e che valuteranno quel gioco.

Nessuno, o solo i più maturi e “fuori dal gioco”, davanti a quello spunto si faranno la domanda delle domande, quella che si fece anche Montale, “Ed ora che ne sarà del mio viaggio?”. Non partono mai da un’esperienza personale, non vengono abituati a farlo: una domanda come quella non è prevista dai “collegamenti” e non è funzionale ad una interrogazione, anzi, rischia di essere controproducente, perché è difficile da gestire. Molto meglio volare basso. Ma domande di quel tipo sono le più adatte ad un vero colloquio.

D’altro canto è la struttura dell’esame orale che collide con il concetto stesso di colloquio, con l’etimologia stessa della parola. Quello dell’esame di maturità non è un cum loqui, definirlo così è spesso una vera mistificazione, magari un bel sogno che però difficilmente coincide con la realtà, se non in casi particolari (e la mia curiosità è quella di sapere quanti sono questi casi in tutta Italia).

Non è un colloquio perché non è un “parlare con”, ma un esporre davanti a una commissione. Non è un colloquio perché non è teso ad un approfondimento su un argomento con un interlocutore: gli argomenti sono troppi e manca il tempo adeguato per approfondire.

Non è un colloquio, perché, come detto, quello che conta in fondo è che il candidato sappia giocare al giochetto di cui sopra. Non è un colloquio perché il candidato è costretto a parlare di qualcosa che è stato scelto per lui o imposto in modo asimmetrico, che non è stato concordato e che magari non rientra nell’interesse del candidato. Quindi si genera la situazione ideale perché il colloquio non vi possa essere.

Non è un colloquio, ma un’esposizione di contenuti di discipline, dati in modo sommario, libresco, formulare, da “tesina”, appunto, senza che sia prevista né possibile un’argomentazione personale. Questo approccio non funzionerebbe nemmeno in un colloquio di lavoro, figuriamoci in un colloquio tra persone adulte che parlano di qualcosa che è di comune interesse!

Dunque, il ragazzo dal cui caso si è partiti – e probabilmente anche quelli che lo hanno deciso di fare come lui – si è rifiutato a questo tipo di colloquio, per motivazioni sue, più o meno nobili, più o meno mature. Forse il suo gesto è solo in linea con la realtà di una “generazione Z” che, abituata a vivere sugli schermi, ad esprimersi sugli schermi, ad avere rapporti sugli schermi, non riesce a stare più di fronte ad un vero colloquio. Forse è motivato dal fatto che in fondo un 62 vale quanto un 70 o un 80 o un 92 e che quello che conta è finire presto un percorso scolastico che non ha detto molto, per cominciare una nuova vita. Forse.

Ma da tutta questa vicenda non si può concludere che riformare questa prova non sia urgente, anche perché capita spesso che, per come è strutturata e concepita (dai docenti, ma, si badi, anche dagli studenti stessi), è un vero ostacolo a quell’ideale educativo che Pichetto ci prospetta e che condivido totalmente.

Riformare per delineare un obiettivo di vera maturità, che non sia un ripetere a pappagallo frammenti di nozioni imparate a memoria, ma esprimere un proprio coinvolgimento con qualcosa che si è compreso e che si è dantescamente “ritenuto”, cioè trattenuto dentro di sé e su questo colloquiare.

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