Occorre contestualizzare la lettera di Trump all'Ue per capirne la portata. E i mercati hanno probabilmente dato la lettura giusta
Per comprendere meglio la lettera con cui Trump ha annunciato che dal 1° agosto gli Stati Uniti applicheranno dazi del 30% sulle merci europee, secondo Nicola Rossi, occorre ricordare che «abbiamo a che fare con una persona le cui modalità di comportamento non sono ortodosse e la cui idea è che gli accordi si raggiungano minacciando e poi ritirando le minacce in maniera tale che l’interlocutore possa cedere più facilmente. Finora almeno in due casi, Cina e Regno Unito, questa strategia mi sembra che non abbia prodotto grandi risultati e che la reazione dura delle controparti abbia portato la Casa Bianca a più miti consigli».
«In un mondo normale – aggiunge il già professore ordinario di economia all’Università di Roma Tor Vergata -, la lettera di Trump all’Ue sarebbe forse da interpretare con una certa preoccupazione, ma nel mondo in cui viviamo oggi così non è, perché siamo stati ormai abituati ripetutamente a questo tipo di volatilità nei comportamenti»
Questo spiega anche la reazione dei mercati, che sostanzialmente credono che un compromesso tra Ue e Usa alla fine verrà raggiunto?
Non solo ritengono che un compromesso verrà raggiunto, ma ho l’impressione che ormai i mercati abbiano imparato a scontare rapidamente le mosse della presidenza americana ritenendole spesso e volentieri null’altro che posizionamenti nella trattativa senza effetti concreti.
L’Amministrazione Trump conta di ricavare 300 miliardi di dollari quest’anno e fino a 450 il prossimo dalle tariffe in modo da finanziare un taglio delle tasse. Sono importi plausibili?
Se le tariffe porteranno a introiti considerevoli vuol dire che non ci sarà stato alcuno spostamento delle produzioni negli Stati Uniti, che è un obiettivo dichiarato della presidenza Trump. Viceversa, se gli introiti saranno bassi o nulli la causa potrebbe ricercarsi nel cosiddetto reshoring Mi sembra, quindi, che emerga quanto sia sbagliata l’idea dell’Amministrazione americana di poter ottenere due piccioni con una fava. Tra l’altro non va dimenticato che questi dazi vengono pagati dai consumatori americani.
A tal proposito, è appena stato reso noto che a giugno l’inflazione negli Stati Uniti è salita al 2,7% dal 2,4% di maggio. Cosa ne pensa?
Credo che sarà importante monitorare l’andamento dell’inflazione americana, perché le scorte che sono state accumulate già da prima del “liberation day” potrebbero ormai essersi esaurite e cominceranno a essere venduti beni i cui prezzi dovranno incorporare tariffe superiori a quelle pre-vigenti. Sarà interessante vedere di che portata sarà l’eventuale aumento dell’inflazione nei prossimi mesi.
Intanto l’Ue non sembra ancora aver individuato una strategia negoziale…
Mi sembra che non abbia optato per una linea dura, ma è abbastanza acclarato che esistono posizioni diverse in merito tra i Paesi membri. Capire quale sia l’approccio migliore dipende anche dall’evoluzione della trattativa e quali elementi ne entrano a far parte, aspetti di cui probabilmente solo i diretti interessati sono a conoscenza.
Il mondo produttivo, in diversi settori, ha espresso, però, parecchia preoccupazione.
È evidente che dazi del 30% colpirebbero significativamente una serie di comparti. Il punto vero è la portata di queste minacce: la sensazione che molti hanno è che sia una portata negoziale, non concreta. Bisognerà, quindi, aspettare la conclusione dei negoziati per farsi un’idea delle reali conseguenze dei dazi. L’atteggiamento dei mercati mi sembra molto saggio.
Tuttavia, per alcune categorie già dazi del 10% vengono ritenuti insostenibili. Cosa ne pensa?
Personalmente vorrei un mondo in cui dazi fossero zero, quindi è evidente che da questo punto di vista anche il 10% è tanto. Ci sono, però, diverse cose che possiamo fare per rendere più agevoli gli scambi all’interno dell’Ue. Esistono, infatti, molti vincoli non tariffari, ma che limitano considerevolmente la portata del mercato unico, che potrebbero essere rimossi.
Intanto all’Ue conviene intensificare i rapporti con la Cina o questo potrebbe indispettire Trump?
Non credo che il rapporto Ue-Cina possa dipendere dagli umori della presidenza americana. Se le cose venissero impostate in questo modo, quando poi ci sarà un altro Presidente degli Stati Uniti o se solo le elezioni di midterm porteranno a una nuova maggioranza al Congresso, all’Ue toccherebbe rivedere le proprie politiche commerciali. Il dialogo tra Ue e Cina deve avere una sua base di convenienza reciproca, ricordando che ci sono diverse cose alle quali stare molto attenti trattando con Pechino.
A che cosa si riferisce?
Sappiamo bene che la Cina ripetutamente non ha tenuto fede a quelli che erano gli obblighi contratti nel momento in cui è entrata nella Wto; sappiamo bene che l’entità del supporto statale alle imprese cinesi sarebbe intollerabile secondo i canoni europei; sappiamo bene che c’è spesso e volentieri un problema di diritti umani in Cina: sono tante, insomma, le cose che non impediscono di intrattenere rapporti con Pechino, ma consigliano di farlo con attenzione.
(Lorenzo Torrisi)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
