I dati registrano un’impennata di migranti dalla Libia, dove la Russia è sempre più influente. L’Italia deve muoversi e coinvolgere la UE
Nella prima metà del 2025 gli attraversamenti irregolari verso l’Unione Europea sono scesi del 20% a 75.900, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, grazie a cali significativi nelle rotte del Mediterraneo orientale e dell’Africa occidentale, secondo i dati preliminari raccolti da Frontex.
Questo dato conferma come le politiche migratorie basate sugli accordi con i Paesi di partenza, ora visti con favore dall’Europa sotto la spinta soprattutto del governo italiano, stiano funzionando.
Ma c’è ancora un dato che preoccupa, ed è quello che si riferisce agli arrivi dalla Libia, che, nei primi sei mesi dell’anno, avrebbero avuto un’impennata, facendo registrare +80% rispetti ai primi sei mesi del 2024.
Sempre secondo Frontex, invece, gli arrivi nel primo semestre di quest’anno, attraverso la rotta migratoria del Mediterraneo orientale, sono diminuiti, rispetto al 2024, di quasi un quarto, raggiungendo le 19.600 unità. Tuttavia, la rotta ha visto un notevole sviluppo negli ultimi mesi con l’emergere del corridoio Libia-Creta. Questa rotta rappresenta ora il maggior numero di attraversamenti nel Mediterraneo orientale.
Nonostante il calo generale in tutta l’Ue, la rotta del Mediterraneo centrale ha visto più di 29.300 attraversamenti irregolari, il 12% in più rispetto al periodo gennaio-giugno del 2024. La Libia continua a essere il principale Paese di partenza per questi viaggi pericolosi, con circa 20.800 migranti arrivati in Italia (è la variazione sopracitata, +80% nei primi sei mesi del 2025).
Ed è proprio su questo tema che Italia e Grecia stanno cercando di fare pressione a Bruxelles perché agisca in fretta in modo da fermare un trend che rischia di sfuggire al controllo. Atene ha anche inviato due navi da guerra, nei giorni scorsi, per effettuare pattugliamenti al largo della Libia in risposta all’ondata migratoria e come strumento dissuasivo verso la sua acerrima rivale, la Turchia, che sta collaborando con i libici per suddividere il Mediterraneo in zone marittime per l’esplorazione energetica.
Ankara rivendica acque appena a sud dell’isola greca di Creta, mentre Atene considera questa pretesa illegale ai sensi del diritto marittimo internazionale.
La recente missione di Piantedosi, insieme al collega greco Makis Voridis e maltese Byron Camilleri, oltre al commissario europeo per gli Affari interni e le migrazioni Magnus Brunner, in Libia, poi finita con un clamoroso respingimento della delegazione da parte delle autorità di frontiera della Cirenaica, sarebbe servita proprio per discutere di questo tema.
Il ministro degli Esteri italiano Tajani ha descritto la Libia come “un’emergenza che l’Europa deve affrontare insieme”, ma un tentativo europeo di fare qualche progresso diplomatico la scorsa settimana non ha sortito alcun effetto. C’è preoccupazione sia per la situazione sempre molto instabile del Paese libico, sia per le sempre crescenti ingerenze della Russia, che potrebbe usare l’arma dei migranti come ricatto verso la Ue.
“Il ruolo della Russia in Libia continua ad espandersi, utilizzandola come nodo centrale della sua strategia africana”, ha avvertito un diplomatico dell’Ue che segue da vicino il dossier.
Il diplomatico ha aggiunto che una rete di trafficanti con legami politici in Libia stava supportando gli sforzi strategici della Russia, aiutando Mosca ad aggirare le sanzioni e a trasformare la migrazione in un’arma. Il governo italiano a più riprese ha richiamato l’Europa sul rischio che la situazione in Libia degeneri.
Finora, tuttavia, la risposta di questi alleati è stata deludente ed è per questo che il governo greco la scorsa settimana ha sospeso l’elaborazione delle domande di asilo, inizialmente per tre mesi, per coloro che arrivano in Grecia dal Nord Africa via mare.
Insomma, Grecia e Italia, che sono da sempre la prima frontiera contro gli sbarchi di immigrati dall’Africa orientale, il fronte forse più caldo in questo momento, stanno cercando di alzare la voce in Europa, ma fino ad ora con scarsi risultati. Giorgia Meloni non a caso ha fatto ben quattro volte tappa in Libia, una nazione che giustamente ritiene strategica non solo per il tema migranti, ma anche per la sua posizione strategica nello scacchiere mediorientale sia dal punto di vista geopolitico che economico. Il problema vero è che l’Europa da tempo ha perso, per la scellerata politica di Sarkozy e Macron nell’area, a cui i governi italiani troppo succubi si sono allineati, la sua influenza non solo sulla Libia ma su buona parte del corno d’Africa.
Questo è avvenuto a scapito di Cina, Russia e in parte Turchia, che ora chiaramente usano questa potente arma di ricatto (basta vedere come Erdogan in questi anni abbia tenuto sotto scacco l’Europa, sotto la minaccia di aprire le sue frontiere ad est).
La Meloni avrebbe parlato del problema anche di recente con la presidente von der Leyen, che sui migranti ormai sembra ormai sulla stessa lunghezza d’onda della premier italiana, condividendo in buona parte la sua politica di accordi e avendo appoggiato anche il Piano Mattei, che Filippo Grandi, Alto commissario dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) ha auspicato possa diventare un piano europeo.
Il dossier migratorio Italia-Libia si protrae da decenni. L’Italia iniziò a concludere accordi di contrasto ai flussi migratori con la Libia già nel 1998, ma un compromesso che soddisfacesse entrambe le parti venne raggiunto soltanto nel 2008, con la firma del Trattato di Bengasi.
Questo accordo di portata storica definiva una volta per tutte l’ammontare del risarcimento coloniale italiano e istituiva un sistema di contrasto ai flussi migratori nel Mediterraneo che prevedeva l’utilizzo di pattugliamenti congiunti italo–libici alle frontiere marittime libiche. Ma nel 2011 la guerra civile libica e la conseguente caduta del regime di Gheddafi ebbero fortissime ripercussioni sul nostro Paese: l’Italia si trovò improvvisamente privata del suo principale alleato in materia di contrasto ai flussi migratori proprio nel momento in cui l’emigrazione dalla Libia alle coste italiane stava aumentando in maniera considerevole.
Nello scorso febbraio il Comitato parlamentare per la sicurezza della repubblica (Copasir) sottolineava anche come la Russia “continua a fare dalle Libia terra di traffici per le sue armi e di interessi per le milizie che hanno raccolto l’eredità della Wagner”. Il Copasir parlava di “formazioni mercenarie maggiormente collegate al Cremlino. Le armi che arrivano attraverso la Libia avrebbero come destinazione anche il Mali e il Burkina Faso, dove la Russia ha legami con i golpisti”.
L’UE ha stipulato un accordo con la Tunisia nel 2023, sotto la spinta proprio del governo Meloni, e malgrado le tante critiche strumentali ricevute ha mostrato di essere una formula vincente per fermare o contenere le partenze. Ma replicare un modello del genere in un Paese destabilizzato da milizie rivali come la Libia sembra missione assai più ardua da portare a termine. La Libia resta una meta assai ambita dalla Russia, che la vorrebbe rendere una sorta di roccaforte nel Mediterraneo, soprattutto dopo che le nuove autorità in Siria hanno disdetto il contratto che concedeva a Mosca il porto di Tartus.
Tajani ha lanciato ripetuti avvertimenti sul fatto che la Libia è la destinazione più probabile per una base navale sostitutiva. Ma anche qui fino ad ora l’Europa sembra sorda ai tanti avvertimenti che arrivano da Roma. Forse anche sulla Libia dovrà ancora una volta essere il nostro Paese a farsi carico di intavolare una nuova trattativa, a cui poi l’Europa si accodi, come successo in Tunisia. Sperando solo che non sia ormai fuori tempo massimo.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
