L’unità decisionale della politica europea è più che mai necessaria in tempi di crisi. Per questo andrebbe riformato il principio di unanimità
L’unità della politica europea è più che mai necessaria, soprattutto se osserviamo con sconcerto e preoccupazione la caotica situazione internazionale, nella quale si consumano violenze e brutalità di ogni genere. E riguardo al bisogno di compattezza, riemerge un tema mai inattuale: quello del superamento del voto all’unanimità in Consiglio europeo, l’organo che riunisce i capi di Stato e di governo degli Stati nazionali.
Se la stragrande maggioranza degli Stati vuole adottare una decisione ma uno o pochi più Stati si oppongono, prevale il parere della minoranza sulla maggioranza. Un solo Stato può esercitare il diritto di veto e bloccare quindi le decisioni dell’intero Consiglio. Ciò non avviene, invece, se lo Stato opta per l’astensione.
Questo meccanismo mina potenzialmente la coesione europea e la capacità di prendere decisioni coraggiose all’insegna di una politica estera comune, poiché l’interesse particolare nazionale, sempre che lo si possa definire realmente tale, prevale rispetto all’interesse generale europeo.
Il principio di unanimità era già presente nelle primissime istituzioni comunitarie degli anni 50, ovverosia la Comunità economica europea (CEE), la Comunità europea dell’energia atomica (Euratom) e la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). Successivamente, nel 1992, con il Trattato di Maastricht, questo principio venne parzialmente superato per lasciare spazio al voto a maggioranza qualificata per molte questioni politiche.
Tuttavia, le decisioni all’unanimità continuano a essere prese riguardo a tutto ciò che attiene a questioni sensibili e materie delicate, come la politica di sicurezza comune, l’adesione di nuovi Paesi membri, temi legati alla giustizia e alla sicurezza e decisioni concernenti il bilancio e le politiche fiscali.
Dunque, rivedere una volta per tutte il principio di unanimità dovrebbe essere una priorità politica dei governi europei. Quella di ripensarlo è stata una proposta reiteratamente avanzata negli scorsi anni anche da Mario Draghi, tuttavia senza esiti di successo; anche perché, per modificare i trattati europei, è richiesta, di nuovo, l’approvazione unanime dei membri del Consiglio.
Un’alternativa è quella delle cosiddette “clausole passerella”: secondo i trattati è infatti già possibile votare a maggioranza qualificata su questioni che richiederebbero l’unanimità. Ma il paradosso illogico è che serve votare all’unanimità per disapplicare la medesima, opzione difficilmente praticabile, anche se possibile.
Risulta dunque urgente modificare l’architettura costituzionale dell’UE, al fine di consentire a una maggioranza qualificata di deliberare di volta in volta in modo congeniale all’interesse europeo. Mentre nel breve termine è possibile creare escamotage per tentare di aggirare il voto unanime, sul lungo termine sarà necessario avviare negoziazioni politiche, inserire il tema nell’agenda politica di Bruxelles, e fare pressione sui governi contrari alla revisione dei trattati al fine di non vedere la riduzione del loro potere nel Consiglio europeo.
Da questo punto di vista, è fondamentale che il Parlamento, il Consiglio e la Commissione compiano uno straordinario sforzo sinergico per portare a compimento l’impresa. Questo porterebbe a un’efficienza decisionale più elevata e una maggiore tempestività di reazione di fronte a crisi urgenti, come le sanzioni alla Russia e la riduzione progressiva della dipendenza europea dal gas russo. Con delibere a maggioranza qualificata, l’UE assomiglierebbe sempre di più a quella federazione di Stati che aspira a essere, agendo come un unico, singolo Stato che non si fa rallentare da continui intoppi interni.
Parallelamente, sorge anche un’altra questione: il problema dei cosiddetti veti incrociati. In precedenza, il governo polacco e ungherese, di fronte a possibili sanzioni da parte del Consiglio a causa di tendenze moderatamente autocratiche, apponevano il veto per salvare l’uno il governo dell’altro. Ora che il governo polacco è marcatamente europeista, la medesima situazione potrebbe riproporsi con la Slovacchia. Proprio per questo i leader europei non dovrebbero farsi trovare impreparati.
In maniera analoga a quanto riguarda l’unanimità, l’Europa deve rispondere unita, compatta e assertiva alla potenziale crisi commerciale all’orizzonte, che potrebbe essere innescata dall’applicazioni di dazi da parte dell’amministrazione americana. Per un’Europa più forte, cioè un’Europa politicamente più rilevante.
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