Influencer o missionari?

Non mancano dei sacerdoti cosiddetti "influencer", ma ce ne sono tanti che sono impegnati come "missionari digitali"

«Belli, palestrati e famosi: l’avanzata dei preti-influencer…  c’è il brasiliano Jefferson (…), soprannominato o prete gato (il prete figo), o don Giuseppe (…), conosciuto come il prete culturista  don Cosimo (…) che posa con magliette attillate che esaltano i suoi pettorali». Citazione da Dagospia, chesi sa, è ingenerosa ma a prova di smentita. Del resto, ognuno può verificare sulla rete.



Di questi “fenomeni”, qualcuno da baraccone, altri no, non ci curiamo: hanno già fin troppo spazio nei salotti televisivi e un’esagerazione di follower. Dei tanti “missionari digitali” invece sì: sono migliaia e migliaia – impossibile contarli – quelli che si espongono in rete, sui social networks, veicolando messaggi espressivi della fede cristiana. Sono persone di tutte le età, religiosi e laici, di tutti i continenti (con forte presenza in America latina), che non necessariamente hanno eserciti di follower, ma ci sono e comunicano.



Domani e dopo si svolge in Vaticano il “Sinodo dei Missionari digitali e degli Influencer cattolici”, evento, voluto dal compianto papa Francesco. Sul sito dedicato del Giubileo (digitalismissio.org) si trovano numerosi profili dei partecipanti, ognuno dei quali descrive in breve la sua motivazione. “Nutrire la fede e rafforzare l’unità della nostra comunità parrocchiale” (Colombia); “Ispirare giovani adulti a camminare con Cristo nel quotidiano” (Usa); “Condividere la bellezza del vangelo” (Italia); “Creare nel digitale un luogo di incontro per annunciare Cristo” (Spagna); “Incontrare i cercatori di Dio che camminano ai confini dell’istituzione ecclesiastica” (Argentina).



Buona l’intenzione! come avrebbe detto il grande indimenticabile Bruno Pizzul in telecronaca apprezzando un lancio anche magari non destinato a buon fine.

Padre Lucio Ruiz, segretario del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, sostiene (intervista a il Sole 24 Ore 25/7/2025) che la sfera digitale è un vero e proprio ambiente: “Non uno strumento esterno alla vita reale: un ambiente culturale dove le persone vivono, lavorano, si relazionano. È vita piena e come tale va abitata anche dalla Chiesa”.

Che sia vita piena in sé mi permetto dubitare. Trovo interessante approcciare rete e social come ambiente: approccio che induce a fare i conti con le parole mentalità dominante, presenza, missione.  L’ambiente non è mai neutro: attraverso le sue regole dette e non dette, le sue evidenze implicite, i suoi criteri di riuscita (visibilità, like, follower…), plasma una posizione culturale e al postutto umana, che ti fagocita se non hai un’esperienza autocentrata e un pensiero critico robusti. Insomma, la coscienza di un’altra appartenenza.

Tutto ciò esige un giudizio. Sono dunque da attendere con vivo interesse i risultati di questa due giorni sinodale. Sia perché merita attenzione e ammirazione l’impegno di quanti si sono coinvolti in questa impresa digital-missionaria. Sia perché ci sono tensioni e alternative che è bene imparare, aiutandosi, a dirimere.

Le riassumerei così, dopo una scorsa alla presenza di missionari digitali in Facebook, Instagram, TikTok, ecc.

1) Senso comune o Senso religioso? Si parla molto e si danno consigli su questioni personali, specie sentimentali. Alla gente a volte piace sentirsi dire quello che pensa già e trovare risposte concilianti, superficiali e non scomode ai problemi. Compiacerla per mostrarsi empatici e guadagnare cuoricini o puntare al cuore fino a destare il senso religioso, cioè, incontrare e condividere il vero bisogno dell’uomo?

2) Attrattiva mio o di Cristo? Il messaggio cristiano è veicolato o con semplice catechesi o pagine del Vangelo, o talvolta raccontando esperienze vissute (bene), o spesso attraverso pillole di saggezza e consigli di vita tra il morale e lo psicologico intese a dare speranza. Va bene così oppure, come ha richiamato papa Francesco: “La speranza dei cristiani ha un volto, il volto del Signore risorto”. Come introdurre, attraverso me, l’attrattiva di un Altro?

3) Like e ciao o uno luogo di esperienza? Nei social domina la logica binaria del consenso o dissenso, like o dislike. Il like è dato spesso a qualcosa che mi conferma e non mi mette in discussione. La traiettoria del messaggio si conclude quando ho ottenuto il like o c’è un luogo da indicare perché uno possa verificare nell’esperienza che la promessa contenuta nel messaggio non sia un’illusione? Dov’è il luogo dell’esperienza?

Ancora padre Ruiz: “Il messaggio evangelico non si esaurisce in un post o in un video: questi strumenti offrono una prima scintilla… È solo l’inizio di un cammino che va sostenuto dalla comunità“.

Ecco.

Ognun sa, dall’età della pietra, che la scintilla lontana dalla paglia non accenderà un bel niente.

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