Il Governo ha approvato un ddl costituzionale su Roma Capitale, un peculiare "premierato" per la capitale guidata dal Pd
Il disegno di legge su Roma Capitale, approvato dal Consiglio dei ministri, appare politicamente stimolante su molti fronti. È un progetto di riforma costituzionale. La maggioranza di destra-centro, dunque, non deflette dal suo approccio programmatico: l’architettura istituzionale della Repubblica può e deve essere aggiornata dove e quando appare opportuno, a quasi 80 anni dal varo della Carta. Questo vale per la riforma della giustizia appena sfornata dal Parlamento, per il progetto di premierato in stand-by e – ora – per i poteri speciali delineati per l’Area metropolitana che ospita la capitale.
Questo, sulla carta, vale ancora per l’autonomia differenziata, chiesta già nel 2017 dalle Regioni Veneto e Lombardia (via referendum, in Veneto con affluenza superiore al 50%) ed Emilia Romagna.
A proposito: per Roma Capitale sarà necessario un iter parlamentare rafforzato con maggioranza qualificata e confronto con Regione Lazio e altri enti locali. Non è previsto al momento un referendum, com’è invece programmato per la riforma della giustizia. Resta ovviamente nella libertà della Giunta capitolina di indire un referendum consultivo fra i 2,8 milioni di residenti/elettori/contribuenti interessati.
L’aspetto squisitamente politico del dossier Roma – formalizzato da un Esecutivo di destra-centro – riguarda una capitale amministrata dal centrosinistra (com’è stato sempre dal 1993 in poi, a parte la parentesi di Gianni Alemanno). Oggi il sindaco è Roberto Gualtieri, ex funzionario Pci-Pds-Ds, poi europarlamentare Pse (capo della commissione affari economici a Strasburgilo) e infine ministro dem dell’Economia nel Conte-2 (M5S-Pd). Dunque un esperto conoscitore di tutti i flussi della finanza pubblica, dai livelli Ue a quelli locali italiani: quindi anche del lungo e grave stato di dissesto delle finanze della capitale.
Ora la sostanza politica del ddl elaborato dal Governo Meloni prospetta per il Campidoglio – in via unica nel Paese – più poteri e più responsabilità nel risanamento finanziario della più importante area metropolitana del Paese. E il quadro appare sfidante in vista di un voto amministrativo, che a Roma sarà allineato con quello politico nel 2027 (la Premier stessa è nata nella capitale e tuttora vi risiede).
Già oggi, comunque, il candidato sindaco dem di una grande metropoli occidentale come New York – Zorhan Mamdani – sta battagliando a favore di un aumento della pressione fiscale sui residenti più ricchi per finanziare trasporti pubblici low cost, edilizia popolare e maggior assistenza sociale alle famiglie a basso reddito, soprattutto per i figli 0-12 anni. I suoi oppositori dicono che finirà invece per indebitare la città, accelerandone la mutazione in “santuario” per immigrati illegali.
Mentre il Governo concede a Roma un suo peculiare “premierato”, Milano (pure retta dal centrosinistra) resta nel mezzo di un guado tempestoso: anche perché lo stesso Esecutivo ha resistito finora a concedere un provvedimento “salva Milano”, riguardante centinaia di cantieri edilizi bloccati per decisione giudiziaria.
La situazione è stata resa più critica negli ultimi giorni dall’escalation della Procura ambrosiana sulla gestione urbanistica della città. Nel mirino penale sono finite le procedure edilizie comunali giudicate troppo “abbreviate” e opache dalla magistratura inquirente (al netto di distinti episodi corruttivi, per ora solo presunti e per questo indagati).
Ora sembra difficilmente contestabile che Roma Capitale si configuri in parte come “salva-Roma” al termine di una lunga serie di passi “brevi” nella gestione finanziaria della capitale. Mentre è evidente che l’attribuzione di poteri speciali all’Area metropolitana di Milano andrebbe tendenzialmente a legalizzare la gestione urbanistica “accelerata” del sindaco-manager Beppe Sala.
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