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Home » Politica » DAZI E GOVERNO/ Berlino tratta da sola e mette la Meloni al bivio tra von der Leyen e la nostra economia

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DAZI E GOVERNO/ Berlino tratta da sola e mette la Meloni al bivio tra von der Leyen e la nostra economia

Anselmo Del Duca
Pubblicato 4 Agosto 2025
Giorgia Meloni, presidente del Consiglio  (Ansa)

Giorgia Meloni, presidente del Consiglio (Ansa)

Oggi il ministro delle Finanze tedesco vedrà Bessent per strappare condizioni più favorevoli all’economia tedesca. Sui dazi la Meloni è al bivio

Ci sono notizie che potenzialmente possono cambiare uno scenario. Quella che il ministro tedesco tedesco delle Finanze Lars Kingbeil sarà oggi a Washington a parlare di dazi appartiene a questa categoria. Eppure sui giornali domenicali non ha trovato spazio, pur essendo ufficiale e non riservata, unica eccezione Il Giornale. Difficile comprenderne le ragioni, forse perché è classificabile come scomoda.


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Perché se la Germania si muove da sola diventa urgente chiedersi la ragione per cui l’Italia non si decida a fare altrettanto.

Sin qui nessun Paese dell’Ue si è prodotto in iniziative autonome: la Commissione ha trattato per tutti, anche se l’accordo di massima al 15%, sottoscritto in Scozia fra von der Leyen e Trump, ha prodotto grande insoddisfazione.


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E se da Parigi si sono levate rumorose lamentele, a Berlino si è passati silenziosamente all’azione, nella consapevolezza che stiamo attraversando giorni cruciali.

Le nuove regole ancora non sono chiare, e si sa, il diavolo si annida sempre nei dettagli. C’è, per di più, una trattativa in corso sulla lista dei prodotti che dai dazi saranno esentati, in tutti o in parte, e tutti i Paesi sgomitano per tutelare le proprie aziende.

Se la locomotiva d’Europa, il Paese più grande e produttivo decide di muoversi in proprio, siamo a una svolta. È scritto nelle comunicazioni ufficiali del ministero delle Finanze tedesco che Kingbeil nel suo incontro con Scott Bessent, eminenza grigia di Trump in campo economico, parlerà di dazi.


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Il primo effetto è indebolire la posizione negoziale del team di von der Leyen e Sefcovic, già fragile di suo. Il secondo è trasmettere un messaggio che suona come un “si salvi chi può”. Non ci vogliono doti di indovino per immaginare che la missione del ministro tedesco saranno domani seguite con la massima attenzione in tutte le capitali europee.

Anche a Palazzo Chigi si valuteranno i risultati che la Germania saprà portare a casa. E se fossero significativi, Giorgia Meloni si troverebbe di fronte a un bivio: rimanere in scia di von der Leyen, oppure imboccare la stessa strada, quella di una trattativa bilaterale con la Casa Bianca.

I pro e i contro andranno valutati con attenzione. Se sia più conveniente restare con la Commissione UE, in virtù del rapporto politico consolidato fra le due leader, o cambiare strada. Sinora Meloni è stata leale con Bruxelles, come le chiedevano a gran voce le opposizioni (salvo poi strepitare proprio di non aver fatto di più per tutelare l’economia italiana).

Andare a bussare alla porta di Donald Trump comporta dei rischi (oltre a quello di scontentare l’incontentabile opposizione italiana). Al netto dell’imprevedibilità dell’interlocutore, si finirebbe per assecondarne il suo desiderio più recondito, quello di depotenziare l’Unione Europea. Perché se ciascuno tratta per sé, l’Europa non c’è più.

Ma dall’altra parte, se il più importante Paese balla da solo (non è la prima volta), sarebbe imperdonabile non sfruttare il rapporto privilegiato con Trump.

A non averlo capito sembrano soprattutto i nostri imprenditori, in attesa fideistica di un piano di sostegno europeo. Qui, però, stiamo parlando di danni diretti per circa 15 miliardi di euro, secondo il centro studi della CGIA di Mestre, più o meno il valore dell’investimento previsto per il ponte sullo Stretto di Messina.

Dunque addolcire la botta sull’economia italiana rappresenta un imperativo categorico, a qualunque costo. Salvini spinge Meloni sulla strada del negoziato diretto, Tajani frena.

Fra i due estremi, per la premier ci sono possibilità intermedie: ad esempio usare la minaccia di avviare trattative bilaterali con gli USA per pretendere dalla burocrazia di Bruxelles l’azzeramento di quelle misure autolesionistiche che l’Europa si è imposta da sola, dal Patto di stabilità con le le sue anacronistiche regole di bilancio, sino al Green Deal su auto e case.

Si tratta di misure che stanno ammazzando l’economia continentale, figlie di un’altra epoca, in cui le guerre commerciali non erano nemmeno immaginabili.

Meloni deve però prestare la massima attenzione al fattore tempo. La sabbia scorre nella clessidra, gli spazi di manovra si restringono ogni giorno di più. Se si decide di sparigliare, meglio farlo subito.

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Tags: Giorgia MeloniDaziMatteo SalviniUrsula Von Der LeyenDonald TrumpGoverno MeloniAntonio Tajani

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