Il vertice di Anchorage Trump-Putin riabilita il ruolo della Russia come attore indispensabile agli equilibri mondiali. Ma la guerra continua
Se stiamo alle parole che Putin e Trump hanno pronunciato davanti ai media del mondo, alla fine del loro colloquio sembrerebbe che poco di costruttivo emerga effettivamente dal vertice di Anchorage, ma forse per una volta contano più i silenzi e le allusioni che le dichiarazioni.
Tre aspetti, per esempio, sono apparsi chiari agli osservatori neutrali.
Il primo è che gli USA hanno offerto a Putin un evidente riconoscimento internazionale, ricevendolo in Alaska come un interlocutore “alla pari” e sottolineando così che, nonostante sanzioni e mandati di arresto internazionali, lo considerano comunque pienamente legittimato a trattare e questo nonostante il suo ruolo di aggressore, aspetto che volutamente è stato tenuto sottotraccia.
Per contro, Putin ha offerto a Trump un grande “assist” sul piano interno, dichiarando che se Trump fosse stato alla Casa Bianca tre anni fa molto probabilmente il conflitto ucraino non sarebbe nemmeno scoppiato; come dire che a scatenarlo sono state anche l’insipienza e l’incapacità dell’allora presidente Biden e della guida democratica USA.
Terzo avviso ai naviganti – affogato in molte considerazioni al limite dell’ovvio – è che l’Europa e Zelensky non dovrebbero adesso mettersi di traverso con pretese “forti” o iniziative unilaterali perché, piaccia o no, della pace o della guerra alla fine decidono loro due, Trump e Putin, con gli altri che possono essere e rimanere solo alleati subalterni, Ucraina compresa.

Conseguenza pratica fondamentale è che si è concretamente riallacciato il dialogo tra USA e Russia, di fatto con una riabilitazione del Cremlino agli occhi del mondo, in barba a quelle sanzioni che avrebbero dovuto indebolirlo e alla famosa definizione di Obama della Russia come “potenza regionale”.
Certamente quello che è mancato è stato un annuncio chiaro con una data per il “cessate il fuoco”, il che lascia pensare che Mosca intensificherà nei prossimi giorni la sua avanzata sul campo per giungere ad accordi magari vicini nel tempo, ma imponendoli da posizioni di forza ancora maggiore.
Vista però la lunghezza dei colloqui e la povertà delle dichiarazioni finali l’impressione è che a questo punto l’Ucraina sia stata solo uno degli argomenti, con in tavola tante pedine di scambio tra le due parti, interessate di più a (ri)mettersi in gioco al più presto per fare affari insieme e gestirsi (spartirsi) il mondo, compreso magari l’utilizzo di quelle riserve naturali strategiche ucraine che fanno gola un po’ a tutti.
Certamente lo Stretto di Bering da oggi è ridiventato più stretto, e potenzialmente l’incontro di Anchorage potrà essere di grande impatto politico-militare, ma soprattutto economico-commerciale.
Il non aver annunciato la data di un accordo di tregua smentisce i pronostici della vigilia che lo davano come il massimo degli obiettivi possibili, ma è evidente che Putin ritiene che non gli convenga chiudere oggi la partita, avendo potenziali successi militari a portata di mano ed essendo in una situazione di forza e di netto vantaggio sulla controparte.
Chissà se nelle prossime ore Trump sarà più preciso sulle sue impressioni (ma quanto saranno vere le parole che sicuramente non gli mancheranno?) e fornirà maggiori dettagli sui potenziali accordi a medio termine, giocandosi fino in fondo il suo ruolo di negoziatore.
“Arrivederci alla prossima puntata”, quindi, tra sorrisi e strette di mano, ma a sorridere di più sembra poter essere Putin, che incassa un successo di immagine enorme atteggiandosi davanti al mondo come controparte credibile e determinata.
Dalle parti di Kiev e Bruxelles non potranno esserne molto contenti.
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