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Home » Esteri » PACE IN UCRAINA?/ “Europa in partita solo se sta con il modello-Helsinki di Leone XIV”

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PACE IN UCRAINA?/ “Europa in partita solo se sta con il modello-Helsinki di Leone XIV”

Stefano Fassina
Pubblicato 19 Agosto 2025 - Aggiornato 21 Agosto 2025 ore 05:31
Il tavolo di Trump, Zelensky e i rappresentanti Ue (Foto: ANSA)

Il tavolo di Trump, Zelensky e i rappresentanti Ue (Foto: ANSA)

Il vertice di Washington prosegue sulla linea definita ad Anchorage: Trump e Putin stanno ridefinendo un ordine multipolare. L’Ue è fuori

L’incontro alla Casa Bianca tra il presidente degli Stati Uniti, il presidente dell’Ucraina e i leader di Regno Unito, Germania, Francia, Italia, Finlandia, oltre al segretario generale della NATO e alla presidente della Commissione europea, conferma la svolta positiva impostata al vertice di Ferragosto ad Anchorage tra il presidente Trump e il presidente Putin.


Macron e Merz a Zelensky: "Attento a tradimento Usa"/ Spiegel rivela call Ue: "Non lasciamo sola l'Ucraina"


La realtà si impone: il Cremlino è attore primario nello scenario globale. È fallito il tentativo, condotto dall’establishment statunitense e dai vassalli europei dopo l’abbattimento del Muro, di ridimensionare la Russia a “potenza regionale”.

L’hubris ideologico della fine della Storia, espresso dai vincitori della Guerra fredda, puntava a completare la dissoluzione dell’URSS in tante repubblichette irrilevanti, legate a una NATO “extra large”, euroasiatica, pronta alla sfida con la Cina.


UCRAINA/ "Merz e Macron cercano la guerra, ma il primo ostacolo alla pace è l'ambiguità Usa"


Era un disegno irrealistico, come era irrealistico puntare alla sottomissione del pianeta all’ordine neoliberista di Washington. Ma soltanto un presidente estraneo al tradizionale circuito democratico-repubblicano poteva prenderne atto, affermarlo e reagire pragmaticamente. Come avrebbe potuto farlo un erede di quel Joe Biden accorso a Varsavia, a fine marzo 2022, a invocare il “regime change” a Mosca?

In tale quadro, è imbarazzante la lettura dei media mainstream occidentali. Sentenziano e sbandierano l’umiliazione subita in casa da Donald il “Taco” (colui che si rimangia le minacce fatte) con l’obiettivo di provocarne una reazione emotiva e far saltare l’intesa con Putin.


Putin: “Dombass sarà nostro, coi negoziati o con le armi”/ Trump accelera sulla pace: oggi round USA-Ucraina


Ma Putin non ha vinto in Alaska. Semplicemente è evaporata in mondovisione la narrazione ufficiale degli ultimi 35 anni. Trump non ha perso: è riuscito a trovare una sponda, vedremo quanto effettiva, nel fronte dei BRICS e a rendere meno inevitabile la dipendenza della Russia dalla Cina.

Insomma, il summit in Alaska ha aperto potenzialmente la strada a un ordine multilaterale, nell’unico format possibile: ancorato alle grandi potenze. Quali? Come?

vladimir Putin e Donald Trump al summit di Anchorage, Alaska, USA (Ansa)

Domande decisive. Ma un punto sembra chiaro: Trump II, a differenza del primo e della presidenza Biden, iscrive la competizione tra primi attori dentro un quadro di collaborazione/collusione e di sfere di influenza, sostiene Stacie Goddard nel numero di maggio/giugno scorso di Foreign Affairs. Certo, la deriva può essere pericolosa, segnala il professore di scienza della politica al Wellesley College con puntuali richiami storici, ma è una risposta al disordine planetario determinato dal tramonto dell’insostenibile unilateralismo neoliberista made in USA.

Dal ritorno alla realtà, segue il segno geopolitico dell’accordo per la fine del conflitto in Ucraina: le sue cause ultime sono disinnescate, a cominciare dall’ingresso di Kiev nella NATO. Le garanzie di sicurezza sono sostanzialmente a carico degli Stati Ue, sebbene “gli USA aiuteranno in qualche modo”. Ma in un modo che il presidente Trump non definirebbe “NATO-like protection”.

Il resto, i confini degli oblast contesi, lo status istituzionale della lingua russa, la rimozione delle sanzioni a Mosca, lo scambio di ostaggi sono “dettagli”, rilevantissimi innanzitutto per riconoscere la resistenza e il sacrificio del popolo ucraino, ma “dettagli” nella prospettiva dell’ordine multilaterale da ricostruire. Sono affidati a un vertice trilaterale a breve.

I governi europei sarebbero dovuti essere protagonisti da subito di una strategia negoziale con la Russia: “senza una relazione vitale con il suo Oriente, l’Europa non potrà mai essere potenza globale”, ha scritto Massimo Cacciari.

Invece, sono stati così ottusi e servili da nominare, dopo due anni e mezzo di vile oltranzismo, con largo supporto bipartisan al Parlamento europeo gli ex capi di governo di Estonia e Lituania nelle posizioni più rilevanti per la politica estera di Bruxelles (la propagandista Kaja Kallas, Alto rappresentante per gli affari esteri e la sicurezza, e l’operoso Andrius Kubilius alla Difesa) per negare, a priori e a prescindere, ogni possibilità di dialogo con Mosca e “sostenere l’Ucraina fino alla vittoria”.

I nostri cari “leader” della politica, della cultura, delle tecnostrutture, della comunicazione, nella stragrande maggioranza, ora, fuori tempo massimo, prendono atto del ritorno della Storia. Provano a darsi un ruolo.

Nel frattempo, i rispettivi popoli – l’universo del lavoro e le piccole imprese, innanzitutto – hanno pagato un prezzo alto. Salirà. Saranno ancora loro a pagare. Pagheranno con i tagli al welfare per coprire le maggiori spese militari promesse a Trump e per la onerosissima ricostruzione dell’Ucraina. Pagherebbero con l’aggravamento del già feroce dumping sociale e fiscale alimentato dal mercato unico se Kiev e gli altri Stati in lista d’attesa entrassero nell’Ue.

Le classi dirigenti europee avrebbero una via alternativa alla sicurezza collettiva sulla quale impegnarsi e tornare in gioco. Dati gli interessi in campo, le radici cristiane condivise con l’universo russo e la collocazione geografica, sarebbero i meglio attrezzati per farlo. È il “modello Helsinki” invocato anche da Papa Leone XIV durante il Giubileo della Gioventù, l’unico impianto per tenere in equilibrio un pianeta multipolare. Ma perseguirlo richiederebbe un’alternativa di interpretazione della fase e altri interessi sociali di riferimento. Insomma, altre classi dirigenti.

PS: la visita e la postura dei leader europei a Washington illustrano efficacemente perché non poteva esserci negoziato sui dazi.

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Tags: Donald TrumpVolodymyr Zelensky

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