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Home » Educazione » SCUOLA/ “Dateci ‘uomini illustri’ e capiremo i fatti che stiamo studiando”

  • Educazione

SCUOLA/ “Dateci ‘uomini illustri’ e capiremo i fatti che stiamo studiando”

Roberto Ceccarelli
Pubblicato 20 Agosto 2025
(Ansa)

(Ansa)

La raccolta “Uomini illustri” della Panini, tra gli anni 60 e 70, segnò un’epoca. Oggi fornisce spunti per riflettere sul metodo dell’educazione

A volte, quando mi capita di vedere dei ragazzi che si scambiano “figurine”, ritorno un po’ nostalgicamente con la memoria a quando facevo altrettanto con i miei amici negli anni 60. Non so se oggi è ancora così, ma in quegli anni il fenomeno “figurine” fu così imponente da diventare anche problematico per gli adulti. Tanto per fare un esempio, nel 1963 un preside in Piemonte vietò di portare le figurine a scuola nelle cartelle scolastiche, un po’ come oggi si tenta di fare con gli smartphone (nihil novi).


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In generale, il mondo degli insegnanti non vedeva di buon occhio questo “traffico” preadolescenziale che, secondo loro e in parte a ragione, distraeva i ragazzi dallo studio.

Fu così che i fratelli Panini, ai quali non andava giù l’idea che le loro figurine fossero considerate degli insidiosi strumenti di perversione, decisero genialmente di dar vita a delle serie di figurine “didattiche”. Questo nobile proposito è esplicitato dai quattro fratelli nella presentazione della raccolta Uomini illustri del 1967.


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Infatti, rivolgendosi direttamente a ciascuno di noi ragazzini collezionisti, i Panini scrivevano: “crediamo che tu possa mostrare la raccolta che ti proponiamo ai tuoi genitori e agli insegnanti, senza timore di essere ripreso o sgridato”.

Proprio Uomini illustri fu per me e per tanti miei amici la più affascinante tra le raccolte Panini di quel tempo, tanto attraente che per qualche anno quasi trascurai le classiche collezioni dei calciatori. Si trattava di 415 mini-biografie illustrate di tutte quelle persone che nella storia dell’umanità rispondevano, per insindacabile giudizio degli autori, a questi due criteri di scelta: importanza storica e popolarità.


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L’intento era di farci conoscere chi nel campo artistico-letterario aveva contribuito ad “elevare lo spirito umano” (eh sì, non si temeva di parlare di “spirito umano” allora) e nel campo scientifico-tecnologico aveva “operato per migliorare le condizioni di vita degli uomini” (qui il tono si fa più progressista).

Sul piano formale, ogni figurina, più grande di quelle a cui eravamo abituati, era un piccolo capolavoro di sintesi iconica e storiografica in cui si fornivano le informazioni essenziali sul personaggio in modo immediato e semplice, adeguato alla nostra età.

E non si deve pensare ad una collezione di nicchia per occhialuti secchioni. Senza trascurare anche il fattore moda, Uomini illustri ebbe un successo incredibile e inaspettato dagli stessi autori, pari a quello delle canoniche raccolte calciatori, tanto da spingere la Panini a rieditarla fino agli anni 70.

Queste figurine erano diventate per molti inseparabili compagne anche nella vita scolastica, venivano usate a corredo delle famigerate ricerche e addirittura si formarono dei gruppi di accese discussioni per “aree disciplinari”, oltre alle immancabili gare che si organizzavano a chi ne sapeva di più sui singoli personaggi.

Ma forse il fascino di questa raccolta in particolare era che nella formidabile galleria degli “uomini illustri” si esaltava la grandezza del genio, di colui che sa offrire delle ipotesi di significato sulla realtà. Noi potevamo con l’immaginazione figurarci i vivi contesti storici di ricerca, avventura, scoperta nei quali quelle persone eccezionali erano immerse e che pure riuscivano a trascendere con la forza del proprio spirito, ingegno, sacrificio, lavoro, indicando altri orizzonti.

In altre parole, in questo modo il sapere non veniva disarcionato dalla persona che lo aveva “prodotto” e ridotto a noiosa “nozione”; la conoscenza diventava un’impresa interessante perché prendeva un volto personale e singolare, carne e sangue, come i calciatori di cui ascoltavamo le gesta per radio la domenica.

Inoltre, attraverso la preferenza che provavamo per alcuni personaggi e per le loro vite, cominciavamo a farci un’idea anche se embrionale delle nostre passioni e attitudini, prefigurando delle prospettive di sviluppo interessanti per la nostra vita, degli ideali.

Tutto perfetto allora? Dobbiamo riproporre le raccolte di figurine nelle scuole? Uomini illustri non era esente da limiti, come tutti gli strumenti didattici. Innanzitutto, non mancavano delle scelte molto opinabili come inserire nella raccolta uomini ricordati per aver arrecato più male che bene all’umanità (Hitler poco prima di Gandhi, per dire).

E poi, quegli “incontri” con gli uomini illustri erano solo virtuali e attendevano delle verifiche razionali ed esistenziali che non potevamo fare da soli, anche se ci aprivano comunque delle prospettive e potevano innescare, come la lettura di un libro o l’ascolto di un disco, “quell’incoercibile impeto a realizzare sé” che è “la nota prima del fatto umano” (Giussani); in questo consisteva l’origine dell’attrattiva che esercitavano su di noi. Insomma, il limite intrinseco di ogni strumento è di essere solo un mezzo, appunto.

Il problema vero, come spesso oggi, è che ci mancarono degli insegnanti attenti alle nostre vite, capaci di accorgersi dei nostri interessi (non solo le figurine ovviamente) e di trasformarli in campi di conoscenza. Così, lasciati a noi stessi, quello che ci appassionava di più diventava un particolare che ci sbarrava sempre di più il rapporto con la realtà, fino a diventare per molti una pericolosa fissazione.

Perciò non sbaglia Cacciari (“Educare è liberare”, La Stampa, 28 luglio) a rifiutare “un’idea gerontocratica dell’educazione (…) che la riduce essenzialmente a trasmissione di saperi” e si può condividere la sua idea che “educare significa liberare” la potenza che è già nel giovane, ma se non ricordo male quel po’ di filosofia che ho studiato, nessuna potenza si compie in atto se non per mezzo di ciò che è già in atto. Occorre un medium, il maestro, che renda possibile l’incontro tra la tradizione, che è anche fatta di saperi, e il cuore e la ragione del giovane.

Per cui “non può avvenire (…) l’educazione di un essere, cioè la sua ‘introduzione alla realtà totale’, senza una idea di significato che all’individuo in formazione si presenti adeguatamente solida, intensa e sicura (…). L’accendersi di questa ‘ipotesi’ è segno del genio; l’offrirla ai discepoli è l’umanità del maestro; l’aderirvi come a luce nell’avventura del proprio cammino è la prima intelligenza del discepolo. Il genio è testimonianza di una visione del mondo, e quindi sempre è offerta di una ipotesi di vita. (…) Solo un’epoca di discepoli può dare un’epoca di geni” (Giussani).

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