La UE si è schierata decisamente con l'Ucraina, ma Gaza fa finta che non esista. Un doppio standard che mina la sua credibilità
L’Unione Europea, gigante burocratico spesso inondato di auto-compiacimento, ha palesato negli ultimi anni un comportamento schizofrenico. Non una semplice incoerenza, ma un’azione geopolitica selettiva che svela un volto cinico. Quando il cannone tuona a Est, alle porte di casa, l’Europa si mobilita con foga neocon e con i suoi leader che si affannano a fare la spola tra Bruxelles e Kiev. Ma quando l’orrore si consuma a Sud, in un lembo di terra da sempre maledetto, il gigante si defila, nascondendosi dietro comunicati formali e deleghe caritatevoli. Questa disparità non è solo un errore strategico, ma un palese atto di codardia politica.
I fatti, impietosi nella loro chiarezza, non mentono. Dall’inizio dell’invasione russa il 24 febbraio 2022, l’Ucraina è diventata una sorta di Mecca laica per i vertici europei. Parliamo di centinaia di missioni e oltre 400 visite di funzionari di alto rango, da Ursula von der Leyen a Charles Michel, tutti a promettere aiuti e manifestare solidarietà.
L’UE ha dispiegato missioni su larga scala come l’EUAM Ukraine per la sicurezza civile e l’EUMAM Ukraine per l’assistenza militare. Un impegno massiccio che ha coinvolto centinaia di burocrati, sebbene questo sforzo, utile per rafforzare il ruolo dell’UE come difensore dei valori democratici e rassicurare gli Stati membri dell’Est, sia stato spesso macchiato dalla solita, inevitabile lentezza burocratica nei ritardi delle sanzioni e delle forniture di armi. Il messaggio, quello sì, è comunque arrivato forte e chiaro: l’Europa è presente.
Passando all’altro lato della storia, quello che odora di ipocrisia, troviamo Gaza. Dopo il 7 ottobre 2023, il conflitto, acceso da Hamas e alimentato da Israele, ha scatenato un inferno di fame e distruzione e una catastrofe umanitaria che ha superato ogni limite. E l’UE? Si è rimpicciolita, si è fatta discreta, quasi invisibile.

L’unica missione documentata è l’EUBAM Rafah, per il controllo dei confini, riattivata di recente e con appena una ventina di funzionari. Nessun leader di spicco ha avuto il coraggio o la decenza di mettere piede in quel ginepraio per mostrare un briciolo di solidarietà. L’Europa ha delegato tutto a UNRWA e alle ONG, con tutti i dubbi conseguenti. Bruxelles ha staccato un assegno, certo, generoso, di 1,18 miliardi di euro, sperando che il problema si risolvesse senza sporcarsi le mani.
La spiegazione ufficiale, quel misto di vincoli logistici e delicatezza diplomatica, non regge. L’accesso a Gaza è indubbiamente difficile, ma la volontà politica di fare di più è stata palesemente assente. L’UE, per non spaccarsi, ha scelto la via dell’indifferenza, barcamenandosi tra l’opinione pubblica, la paura di riaccendere la diplomazia del terrore mediorientale e la necessità di non irritare Israele, un “partner strategico”.
Questa scelta miope ha sacrificato la credibilità europea sull’altare della realpolitik, rafforzando l’accusa di doppi standard in tutto il Sud Globale. Così L’UE, vecchia e stanca, diventa l’istituzione che si preoccupa solo dei “suoi” morti e dei “suoi” conflitti, dimostrando una notevole parzialità.
La mancanza di una presenza fisica e di un coraggio politico, di una voce forte che si levi contro l’orrore, ha reso l’UE inerme davanti alla sfida. La scelta di operare solo attraverso canali indiretti non basta, non ripaga la mancanza di un impegno visibile.
Per recuperare dignità, l’Europa non ha altra strada che quella di bilanciare la sua azione. Si tratta di fare di più per Gaza. È necessario dare un segnale per dimostrare che i valori che tanto sbandieriamo non sono merce di scambio, non si comprano e non si vendono in base alla convenienza politica. Altrimenti, il volto dell’Europa continuerà a essere un insostenibile Giano bifronte.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
