Oggi al Meeting di Rimini si terrà un incontro dal titolo "Salute pubblica, stili di vita e sostenibilità economica dei sistemi sanitari"
In occasione del mio intervento nell’incontro “Salute pubblica, stili di vita e sostenibilità economica dei sistemi sanitari”, che si terrà oggi al Meeting di Rimini, affronterò un tema poco discusso ma cruciale per la definizione di politiche efficaci: come una lettura imprecisa dei dati sul consumo possa condurre a decisioni sbagliate, che possono portare a notevoli danni, sia sotto il profilo della salute degli italiani che sotto quello puramente finanziario.
Nello specifico, i dati ufficiali cercano di dirci quanti italiani consumano definiti prodotti. Un caso specifico, che è interessante analizzare, è quel del mercato della nicotina, in cui cercano di dirci quante persone fumano o usano prodotti alternativi a rischio ridotto. Spesso, tuttavia, dietro quelle percentuali che vengono presentate come certezze assolute, si celano errori che alterano profondamente la nostra comprensione del fenomeno. Nello specifico, molte persone vengono contate più di una volta.
Facciamo un esempio semplice. Se il 20% della popolazione fuma e il 10% usa un prodotto alternativo, si potrebbe pensare che il 30% faccia uso di nicotina. In realtà, se il 5% fa entrambe le cose, il totale reale è 25%.
Ma semplifichiamo ulteriormente, togliendoci di torno le percentuali. Se in due ci sediamo in una stanza, e uno fuma e consuma prodotti alternativi e l’altro consuma solo sigarette, il sistema ufficiale – allo stato attuale – ci dice che in quella stanza siamo in tre. Per semplificare, finiamo ad affermare il falso. La stessa cosa rischia di succedere con qualunque altro tipo di prodotto. Pensiamo allo zucchero, all’alcool, e a tutti quei prodotti i cui consumi hanno effetti (volenti o nolenti) sulla salute pubblica.

Tuttavia, la maggior parte delle statistiche ufficiali continua a sommare i dati per categoria di prodotto, non per persona. Chi utilizza più di un prodotto viene inserito in più categorie. Questo, di fatto, falsifica i dati.
Tornando al caso della nicotina, dove l’uso combinato pare essere diffuso (anche se, francamente, al momento la qualità di queste ricerche è parecchio deficitaria), questo errore è particolarmente rilevante. Lo è perché, avendo una situazione più variegata è necessario migliorare le metodologie. A oggi, è altamente probabile che i dati ufficiali sovrastimino il numero effettivo di consumatori.
Le conseguenze non sono solo tecniche. Nel caso della nicotina, se pensiamo che il suo uso a livello di popolazione sia in crescita, potremmo considerare inefficaci le politiche attuali, oppure potremmo finire per chiudere gli occhi di fronte ai cambiamenti di comportamento dei consumatori, in virtù di un amore per la semplificazione che finisce per essere dannoso. Questi cambiamenti di comportamento sono importanti, perché hanno effetti diretti sulla salute pubblica e suoi conti dello Stato.
In altri casi, si rischia di adottare misure fiscali o regolatorie indiscriminate, senza distinguere tra prodotti più o meno rischiosi.
Una soluzione concreta arriva da uno studio britannico pubblicato nel 2025, che propone un approccio diverso per classificare i cosiddetti dual users (chi fuma e usa anche alternative). Invece di contarli due volte, ogni individuo viene assegnato a un solo gruppo, in base al prodotto utilizzato più frequentemente. Se una persona fuma quotidianamente e utilizza prodotti alternativi solo in alcune occasioni, viene classificata come fumatore. Se invece usa principalmente un prodotto senza combustione, viene contata tra gli utilizzatori di prodotti alternativi.
Applicando questo metodo ai dati italiani, il quadro cambia in modo significativo. Nel 2024, i dati ufficiali parlavano di un 32% di adulti consumatori di nicotina. Ma con il metodo corretto, la percentuale reale scende al 27%. Una differenza di cinque punti che rovescia la narrazione dominante: il consumo di nicotina non sta crescendo. Al contrario, diminuisce, e molti consumatori stanno passando a prodotti più innovativi, probabilmente nel tentativo di ridurre i danni legati al fumo. In altre parole: le politiche attuate negli ultimi anni stanno funzionando.
Ovviamente, in tutto questo, rimane fondamentale adottare strategie basate sull’evidenza scientifica. In questo senso, il Manifesto per la riduzione del danno da fumo, promosso dall’Università Bicocca di Milano e sottoscritto da numerosi esperti e accademici, va nella giusta direzione. Documenti di questo genere sono fondamentali e dovrebbero essere sviluppati, in ottica di uno scambio con le istituzioni, per tutti i prodotti che hanno effetti sulla salute pubblica.
Contare le persone invece dei prodotti non è un mero esercizio metodologico. È un cambio di prospettiva necessario per leggere correttamente i dati, evitare errori di interpretazione e promuovere politiche più eque ed efficaci. In un ambito tanto delicato come quello della salute pubblica, la precisione statistica può fare la differenza tra un intervento utile e uno dannoso.
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