L’incontro di ieri al Meeting di Rimini con il card. Koch e il patriarca Bartolomeo I ha approfondito in un evento epocale per la fede della Chiesa
L’incontro svoltosi nel contesto del Meeting di Rimini tra il cardinale Robert Koch e il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, in occasione dell’anniversario del Concilio di Nicea, ha rappresentato un’occasione speciale per recuperare le dimensioni e la portata di un avvenimento epocale, si potrebbe dire di un vero e proprio “evento fondatore” nella storia della Chiesa.
Nelle parole dei due alti prelati è risuonato spesso l’invito a considerare Nicea non come un evento storico isolato, un fatto del passato, quanto piuttosto come una “svolta” di portata unica, una “pietra miliare” della nostra fede, un processo sinodale che ha dato forma alla Chiesa di cui ancora viviamo, il “fondamento” della dottrina e del culto della cristianità intera.
Il cardinale Koch, in quanto presidente del Dicastero per l’unità dei cristiani, ha sottolineato come la celebrazione di tale anniversario possa essere un “momento d’oro” per il cammino ecumenico, una bussola, un segnavia per guidarci verso l’unità su ciò che conta davvero nella fede.
In questa prospettiva Nicea non va considerato solo per la sua dottrina, pur importante e decisiva, bensì come un avvenimento ecclesiale complessivo, tenendo cioè presenti anche i suoi canoni disciplinari e la ricerca dell’unità sulla data per la celebrazione della Pasqua.
L’eredità più significativa, comunque, è costituita da un lato dalla professione di fede in Gesù Cristo vero Dio e dall’altro nello stile sinodale del discernimento operato a Nicea. Anzitutto Nicea ci invita a ritrovare la centralità della professione di fede battesimale in Gesù Cristo, vero Figlio di Dio generato dall’eternità della stessa sostanza del Padre.
In un contesto culturale, e talvolta ecclesiale, che sembra accontentarsi di considerare Gesù per la sua umanità eccezionale, la fede di Nicea ci ricorda che in Lui si è rivelato e comunicato Dio stesso. Il Verbo incarnato non ci svela solo la sapienza della creazione, il significato del nostro mondo finito e limitato, ma ci comunica la stessa vita divina eterna, una relazione che appartiene al mistero divino da sempre. Anzi, lo Spirito Santo vuole introdurci in questa relazione di generazione tra Padre e Figlio.
In secondo luogo siamo provocati a recuperare la qualità sinodale del lavoro di Nicea: la professione di fede è difesa e riaffermata contro l’errore eretico non mediante speculazioni teologiche più o meno raffinate, ma grazie ad un discernimento ecclesiale, in cui concorrono i rappresentanti di tutte le Chiese per elaborare un consenso universale su ciò che significa credere in Gesù Cristo. Il cammino o lo stile sinodale rappresenta una provocazione forte per la Chiesa di oggi, come hanno sottolineato concordemente sia papa Francesco che Leone XIV.

Sul versante ortodosso, invece, il patriarca Bartolomeo ha offerto una rilettura spirituale molto profonda di Nicea, al cui centro ha messo la sottolineatura del suo “carattere pneumatico”: il Concilio di Nicea è stato un’opera di quello Spirito Santo che plasma e guida la Chiesa nella storia, garantendo la continuità della Tradizione dell’unica verità che è Gesù Cristo e strutturando uno spazio di esistenza “divinizzata”, cioè la Chiesa, che dalla liturgia si espande sinodalmente nella storia delle persone e dei popoli.
Due richiami forti che ci permettono di recuperare l’importanza di Nicea.
Si è trattato di un’occasione per riaffermare una verità che la Chiesa ha ricevuto da Cristo e che possiede da sempre. È fuorviante immaginare che a Nicea alcuni esperti e teologi abbiano elaborato una dottrina nuova. Nicea riprende un simbolo battesimale e gli conferisce un valore universale contro l’errore eretico. È una vittoria della verità di Cristo, unica ed eterna, trasmessa ai neofiti in ogni tempo.
Il discernimento niceno non si è basato sulla filosofia, ma sulla fede apostolica. Ne è emerso un nuovo volto di Dio, molto distante dal Motore immobile di certa filosofia, un Dio personale, appassionato, che è relazione e quindi dono di comunione. Dio non è una forza impersonale, ma un Padre che si prende cura delle creature nel suo Verbo incarnato e nello Spirito vivificante.
Ma questa fede dottrinale va subito collocata nello spazio liturgico della celebrazione e in particolare dell’Eucaristia, da cui deriva la sinodalità. Nicea ci invita a riscoprire il funzionamento sinodale nel suo vero significato. Esso non è riducibile a un incontro assembleare di chierici e laici per discutere di problemi di attualità. Deve essere realizzato come un prolungamento dell’assemblea eucaristica, presieduta dal vescovo coi vari ministri e col popolo fedele, per lasciar agire lo Spirito che guida e plasma la Chiesa.
Tale azione spirituale si realizza in base alla condizione spirituale del vescovo, dei ministri e del popolo. Non dipende quindi da argomentazioni secolari più o meno convincenti. Ciò che si comunica in un processo sinodale è lo Spirito.
Nicea rappresenta il prototipo di questa esperienza sinodale, un’opera dello Spirito che ha plasmato e continua a dare forma alla Chiesa. Quindi va accolta e recepita in una logica di continuità, la continuità della grande Tradizione che si rinnova, edificando l’unica Chiesa che è in Roma, Alessandria, Costantinopoli, Antiochia e Gerusalemme.
Ma Nicea ha realizzato anche una riuscita sinfonia tra potere civile e Chiesa, mostrando come, nel suo cammino storico, la Chiesa possa vivere la “sinfonia” col potere civile, senza subordinazioni o interferenze. Fu il grande contributo di Costantino. Si tratta di collaborare per il bene comune, rispettando gli ambiti di competenza propri ed evitando connivenze equivoche, come accaduto di recente.
Una lezione magistrale di come l’Ortodossia recepisce il grande evento di Nicea. Uno stimolo potente a riappropriarci di un’eredità preziosa, spesso data per scontata con una certa superficialità.
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