La trappola della presunzione

Sembra assurdo, ma quanto più son esigue le capacità di alcuni, tanto più la loro presunzione di valere è poderosa

Per una strana assurdità, quanto più son esigue le capacità di alcuni, tanto più la loro presunzione di valere è poderosa. Per costoro ci saranno sempre le sedie riservate nelle prime file delle assemblee, degli incontri, di qualunque manifestazione possa servire loro da stampella per restare in piedi di fronte agli umani.



Non sentendosi mai abbastanza – mai abbastanza amati, forse – hanno bisogno di un qualche riconoscimento per sentirsi vivi: “Riservato” si scrive nelle carte che si appoggiano nelle sedie delle prime file. Sedie che, il più delle volte, rimarranno vuote: “Il tale si scusa ma ha avuto un imprevisto, ha mandato me a porgere il suo indirizzo di saluto”.



Quando invece si degnerà di esserci, quel tale prende il microfono prima di tutti, sparge salamelecchi, cerca l’applauso e poi si scusa: “Chiedo venia, ma non posso fermarmi perché ho altre tredici apparizioni in agenda stasera”. Ovviamente: “Mi congratulo per l’interesse dell’argomento di stasera, avete il mio sostegno”.

Poi, neanche il tempo di fare un passaggio sulla sedia, che se ne tornerà indaffarato al suo daffare. Della serie: è stato l’orgoglio a trasformare l’arcangelo in Satana.

Non si accorgono, mosche cocchiere, che tolta loro la divisa, concluso il mandato, spente le luci ritornano a sentirsi come prima: mendicanti di un posto in prima fila per non doversi attaccare al primo tram che passa sottocasa. Cristo, da par suo, fa finta di non accorgersi di nulla ma si annota ogni piccolo dettaglio per poi, ingigantendolo, insegnare agli amici come si fa a stare al mondo. A stare dritti in un mondo storto: questione di stile.



Cristo, lord d’Israele, non sgrida ma consiglia, per evitare, se possibile, le figuracce che segnano una carriera: “Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: Cèdigli il posto“.

L’ultima fila, invece, è di chi ha il cuore in pace, di chi è in pace con se stesso, di chi si sente amato a prescindere dal ruolo, dalla funzione, dall’aria che tira: è il posto migliore per finire dritti nello sguardo di Cristo.

È legge di natura che chi si sente amato non abbia bisogno d’apparire, lisciare il pelo, sgomitare per saltare la fila: a tenergli il cuore ordinato è l’amore che sente vibrare sulla sua pelle, ovunque stia. Era il consiglio di nonno: “Meglio da poveri diventare ricchi che da ricchi diventare dei poveri. Ricordartelo, ragazzi!”

Lo disse anche il sant’uomo di papa Francesco, al secolo Jorge Bergoglio, spiegando la psicologia di chi siede a messa in prima fila: “Le persone che vanno in chiesa, stanno lì tutti i giorni e poi vivono odiando gli altri e parlando male della gente son uno scandalo”.

Meglio quelli interessati dell’ultima fila che quelli seccati seduti sotto la cattedra: “Meglio vivere come un ateo anziché dare una contro testimonianza dell’essere cristiani”. Vale la pena di ricordarci che, nel cristianesimo, la forma non è apparenza, ma è un anticipo della sostanza: da dove mi siedo dico chi sono, da chi frequento anche. Pure da chi stringo la mano saprai prendere le misure della mia identità d’uomo.

All’incontro, quella sera, sedeva in ultima fila, con la moglie accanto: si era al suo paese, paese dal quale se n’era andato da anni per scontare la sua pena in galera. La sala gremita di gente non mi impedì di riconoscere il suo sguardo: dignitoso, misurato, (finalmente) sereno. In prima fila era seduto l’intero gotha di quel paese. Si presentavano dicendomi la professione invece del nome: “Sono l’avvocato, il commercialista, il direttore, il sindaco, l’assessore, il portaborse”.

Il tempo di prendermi il microfono: “Posso chiedervi una gentilezza? – dissi – C’è qualcuno in prima fila che cederebbe il posto ad un caro amico?” Le teste basse come carote. Non insistetti, non cedetti: “Vieni qui!” dissi al signore in fondo. Lo feci salire e sedere nel palco, accanto a me: “Allora ne avrai un onore davanti a tutti” (cfr Lc 14,7-14). Un leader è il migliore quando le persone sanno a malapena che esiste.

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