La parata di piazza Tiananmen è un'esibizione di potenza che non deve distrarre dai risultati effettivi che la Cina può vantare al termine del summit SCO
La grande parata organizzata per celebrare l’80esimo anniversario della vittoria cinese nella guerra contro il Giappone è stata un evento spettacolare che oltre a Xi Jinping, nella parte di protagonista assoluto, ha visto la partecipazione di Vladimir Putin e Kim Jong-un, riapparso su un palcoscenico internazionale dopo sei anni.
Molti osservatori occidentali hanno incentrato le loro analisi sulla figura dei tre leader autoritari visti come i fautori di un’alleanza politico-militare che intende imporsi alla guida di un blocco alternativo all’Occidente. Ma ridurre tutto a un esercizio di propaganda rischia di non far comprendere la complessità della strategia cinese, che punta alla costruzione di un ordine alternativo, economico e istituzionale, capace di sfidare la centralità dell’Occidente non sul terreno della retorica militarista, ma su quello delle interdipendenze geo-economiche.
A Putin e Kim la strategia cinese ha assegnato il ruolo di vassalli, la cui forza militare serve per amplificare l’effetto deterrente verso l’Occidente.
Xi Jinping non punta a costruire un’alleanza fondata soltanto sulla minaccia militare, ma mira ad edificare a un sistema di cooperazione economica e politica che possa consolidare la posizione della Cina come potenza egemone di un nuovo ordine multipolare.
La vera partita, infatti, si è giocata nei giorni precedenti e successivi alla parata, durante il vertice della Shanghai Cooperation Organization (SCO) a Tianjin. Solo in questo contesto è possibile comprendere strategia cinese, che non si limita a evocare la contrapposizione con l’Occidente, ma propone un’agenda alternativa, fatta di strumenti finanziari, scambi tecnologici, catene del valore condivise e sostegno reciproco fra Paesi che si percepiscono come marginalizzati dal sistema dominato da Washington e Bruxelles.
La dichiarazione finale del vertice ha condannato con forza le “misure coercitive unilaterali”, un riferimento chiaro alle tariffe e alle sanzioni imposte dagli Stati Uniti. Mentre gli Stati Uniti hanno fatto del decoupling e della sicurezza nazionale la chiave della loro politica commerciale, la Cina propone di ergersi a garante di un ordine aperto, ma plasmato sulle sue condizioni e sui suoi interessi.
Xi Jinping, nel suo intervento, ha presentato un pacchetto di misure concrete che danno sostanza a questa narrazione. Due miliardi di yuan in sovvenzioni per progetti di sviluppo nei Paesi membri, 10 miliardi di yuan in linee di credito agevolato, un raddoppio delle borse di studio per studenti provenienti dall’area SCO, la creazione di centri di cooperazione in ambiti strategici come sicurezza, contrasto al narcotraffico e catene del valore tecnologiche. Sono strumenti di soft power economico, che mirano a consolidare vincoli strutturali tra le economie partecipanti e a creare un ecosistema di dipendenze reciproche in cui la Cina si posiziona come fulcro.

L’India, in questo quadro, occupa una posizione significativa. Storicamente diffidente verso Pechino, New Delhi ha colto l’occasione del vertice per avviare un dialogo all’insegna del pragmatismo. Xi ha offerto concessioni significative, tra cui l’apertura di un canale preferenziale per l’esportazione di terre rare verso l’India. In cambio, la SCO ha accolto una condanna esplicita degli atti terroristici in Kashmir, allineandosi alla posizione indiana.
Anche l’Iran ha trovato nel vertice un’occasione di rafforzamento. L’inclusione di Teheran come membro a pieno titolo della SCO ha coinciso con la condanna dei raid statunitensi e israeliani contro gli obiettivi iraniani.
Una presa di posizione che permette a Teheran di avere nella SCO un canale privilegiato per rompere l’isolamento imposto dalle sanzioni, mentre Pechino utilizza la partnership per consolidare il proprio ruolo di mediatore e garante degli equilibri regionali.
A riguardo è emblematica la posizione della SCO circa il rafforzamento dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) che viene vista come il perno di un nuovo tipo di commercio internazionale aperto, basato su regole condivise e inclusione. A riguardo, la difesa della “clausola della nazione più favorite” (MFN) e del “principio di non discriminazione” hanno un fortissimo valore simbolico, ponendo la SCO in difesa di un sistema libero in contrapposizione ai dazi, tariffe e sanzioni economiche unilaterali.
Una posizione palesemente critica nei confronti dell’amministrazione Trump che continua a fornire alla Cina l’opportunità per porsi come soggetto razionale e garante del funzionamento virtuoso del commercio internazionale.
Con la parata militare e il vertice SCO, la Cina ha dimostrato di saper dosare sapientemente hard e soft power, una strategia che permette di combinare una strumentale vicinanza a regimi dal grande potenziale militare e di farsi promotore delle virtù del commercio internazionale. Una posizione, al contempo, ambigua, minacciosa e inclusiva che soltanto la miopia dell’ammirazione Trump e l’insipienza degli europei hanno potuto rendere sostenibile.
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