Torna il tema dell’hate speech. Calabresi ha diffidato Tajani dall’utilizzo della memoria del padre. Ma c’è una commissione apposta, perché non usarla?
Sulla prima pagina di Repubblica Mario Calabresi ha diffidato chiunque – ma anzitutto il vicepremier Antonio Tajani – dall’usare il nome del padre nelle nuove polemiche sul linguaggio d’odio in Italia. È una posizione umanamente comprensibile.
È però un fatto innegabile che Luigi Calabresi – un commissario della Polizia di Stato – sia stato assassinato dopo una campagna ostile condotta da Lotta Continua, mentre sull’Espresso uscì una famosa lettera-manifesto sottoscritta fra molti altri da Eugenio Scalfari, futuro fondatore di Repubblica. Il leader di Lotta Continua è stato poi condannato come mandante dell’omicidio.
Il rispetto invocato dal figlio del commissario per una dolorosa memoria personale può spingersi fino alla cancellazione di un episodio tragico dalla memoria collettiva, dalla storia civile, dal confronto politico del Paese?
Analogo oblio potrebbero sollecitare, fra molti altri, i familiari delle vittime della strage di Bologna, i quali invece – con ampia e regolare accoglienza sulle pagine di Repubblica – non si stancano di tenere vivo il ricordo di quel 2 agosto 1980, nerissimo per l’intero Paese.
Mario Calabresi, inoltre, è un giornalista e ha diretto due fra i maggiori quotidiani italiani. Ed è su Repubblica – anche se Calabresi aveva già lasciato la direzione a Carlo Verdelli – che la questione dell’odio e dei suoi linguaggi è stata proiettata in cima all’agenda politica del Paese. Sei anni fa Repubblica non ha avuto esitazioni a trasformarsi in potente cassa da risonanza – per mesi in prima pagina – dell’allarme su una presunta ondata di odio “nero” nel Paese, che si sarebbe manifestata anzitutto in un preoccupante ritorno dell’antisemitismo.
Nel 2019 quella campagna martellante ha prodotto un risultato politico-istituzionale importante: l’istituzione di una commissione parlamentare straordinaria sui fenomeni e linguaggi di odio, la cui presidenza è stata affidata alla senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz. Secondo quanto riferiva Repubblica la senatrice era il bersaglio specifico di un’onda di odio antisemita.

Dopo sei anni, la commissione è tuttora attiva: si è riunita per l’ultima volta lo scorso 18 giugno. Non si può immaginare una sede migliore per rilanciare un serio dibattito politico-culturale sulla gravità dei fenomeni di odio in Italia oggi. A cominciare dal ritorno dell’antisemitismo, come denunciato pochi giorni fa dall’Unione delle comunità ebraiche in Italia (UCEI) in una nota per l’inizio dell’anno scolastico.
Una sessione straordinaria della commissione Segre – live su qualche canale del servizio pubblico televisivo – sarebbe l’occasione per rilanciare il ruolo di un’articolazione importante del Parlamento nazionale, sede della democrazia sovrana.
Dalla commissione si attendono ancora le raccomandazioni finali: un disegno di legge che doti anche l’Italia di una moderna strumentazione legale e amministrativa per il contrasto a tutti i fenomeni di odio, come quelle adottate in altri Paesi occidentali.
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