Ieri c'è stata una telefonata importante tra Trump e Xi Jinping. Il confronto tra Usa e Cina investe anche l'Europa
Donald Trump e Xi Jinping ieri pomeriggio hanno avuto una conversazione telefonica sul destino della divisione americana del social TikTok che verrà acquistata da una cordata di investitori a stelle e strisce; la società cinese Bytedance continuerà a concedere sotto licenza l’algoritmo.
A gennaio 2025, nel mese dell’insediamento di Trump alla Casa Bianca, il Congresso aveva deciso di bloccare TikTok per gli utenti americani per ragioni di sicurezza nazionale. L’Amministrazione si diceva preoccupata sia per l’accesso a informazioni sulla vita privata dei cittadini americani, sia per la minaccia che il social cinese potesse essere usato per motivi di propaganda. Durante la telefonata, oltre alla soluzione della vicenda TikTok, secondo le dichiarazioni di Trump, si è discusso anche di rapporti commerciali e della guerra in Ucraina.
La decisione su TikTok arriva dopo mesi di guerra commerciale tra le due superpotenze; l’America ad aprile ha deciso di imporre dazi sulle importazioni cinesi e il Paese asiatico ha reagito bloccando l’esportazione di componenti e materiali critici. Le tensioni sono continuate con la decisione americana di limitare l’esportazione dei chip più avanzati per l’intelligenza artificiale e con la scelta di Pechino di limitare gli acquisti di prodotti agricoli americani. La guerra commerciale, il riequilibrio dell’economia di Washington si inseriscono in una partita a tutto campo; gli Stati Uniti hanno individuato nel gigante asiatico la principale minaccia al proprio primato e cercano di fermare l’ascesa cinese.
Oltre alla partita economica e commerciale, più visibile, ci sono quelle geopolitiche dal destino di Taiwan fino al controllo della rotta artica, con le mire di Trump sulla Groenlandia, e dei principali snodi commerciali, Canale di Suez e di Panama inclusi.
L’Europa, che non sembra soggetto di questa partita, viene comunque investita da questo conflitto. I tentativi americani di coinvolgere l’Europa nella guerra commerciale alla Cina sono evidenti; vengono discussi sui principali media finanziari, se ne trovano le tracce nell’accordo commerciale firmato qualche settimana fa tra Bruxelles e Washington e più recentemente sono emersi con le richieste di Trump all’Europa di imporre sanzioni contro la Cina a causa dei suoi acquisti di petrolio e gas russi.
C’è poi un secondo effetto. Le merci cinesi che non riescono più ad arrivare in America si riversano in Europa e minacciano la sopravvivenza di molti dei suoi settori industriali. L’Europa si trova così schiacciata tra gli Stati Uniti che ancora per molto garantiranno la sua sicurezza e buona parte delle sue forniture di gas e la Cina.
Il Vecchio continente fatica a seguire l’alleato americano perché la sua posizione è molto più fragile. L’Europa non ha idrocarburi, non ha la valuta di riserva globale, non ha un esercito e dipende dalla Cina per le tecnologie della transizione energetica. Bruxelles non può nemmeno fare leva sulla stessa rete di rapporti internazionali su cui possono contare gli americani. Oltretutto le tensioni esterne si scaricano dentro l’Europa in modo amplificato perché l’Unione europea non è uno Stato “come gli altri”.
Tutto consiglierebbe all’Europa un approccio molto meno conflittuale e più collaborativo; anche con la Cina. Non ci sono però soluzioni facili perché sembra inevitabile dover scontentare qualcuno, almeno in parte.
I tentativi di guidare questa fase di ridefinizione dei rapporti geopolitici e commerciali “dall’alto” degli Stati si moltiplicano non solo in Europa. In America, per esempio, lo Stato vira verso un controllo dell’economia che sembrava impensabile. Se questo processo è obbligato i rischi per gli spazi di libertà delle imprese e delle famiglie si moltiplicano. Si moltiplicano anche i rischi in caso di ricette statali ideologiche. Anche da questo punto di vista l’Europa sembra poco attrezzata per affrontare il “nuovo mondo”.
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